L’eccezionalità dell’Artico: tra cambiamento climatico e dinamiche geopolitiche, è un’area di pace e cooperazione unica al mondo. È l’unico contesto internazionale fedele al diritto internazionale e a un multilateralismo in crisi altrove. La sua unicità si rispecchia nel fatto che nessuno degli attori di riferimento ha intenzione o interesse ad alterarne gli equilibri che, peraltro, non rispecchiano i rapporti di forza planetari, ma si presentano al Nord in forma capovolta.
Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con il Centro Studi Italia Canada. Laura Borzi è analista del Centro Studi Italia Canada con focus su Artico canadese e la politica estera di Ottawa.
La regione artica è tornata ad essere un’area di rilevante importanza strategica. Dopo la fine della guerra fredda, durante la quale aveva giocato la sua parte nell’ambito del confronto tra i due blocchi, per tre decenni, ha registrato un costante e intenso livello di cooperazione internazionale, tanto da consolidare la diffusa percezione dell’eccezionalità del Nord al riparo dalle tensioni geopolitiche del resto del Pianeta.
Un modello di multilateralismo che al momento è in significativo contrasto con la traiettoria di un sistema globale che assiste alla disgregazione del dialogo e del negoziato e vede il ritorno alla logica di potenza.
Il timore ricorrente tra gli osservatori delle vicende artiche negli ultimi anni è la circostanza che le tensioni a livello sistemico – tra la Russia e gli Stati artici -, così come una maggiore attenzione da parte di attori esterni – la Cina – possano avere un effetto spill over nella regione, compromettendone la governance e alterandone le dinamiche di sicurezza fino ad oggi orientate piuttosto alla protezione ambientale e a quella delle comunità (i circa 4 milioni di abitanti) che non alle questioni militari di hard security.
Il fattore che ha maggiormente inciso sulle caratteristiche del contesto regionale favorendone la significativa apertura verso l’esterno è stato il fenomeno del cambiamento climatico, catalizzatore di alterazioni dell’ambiente fisico, delle modalità di sostentamento delle popolazioni e infine della geopolitica regionale.
Il riscaldamento al Nord del pianeta ha caratteristiche tali che fanno della regione un barometro climatico mondiale: il tasso di aumento della temperatura è più rapido e superiore di due gradi rispetto alla media del pianeta. Segno più visibile dei cambiamenti è la banchisa artica che ha perso il 75% del volume dal 1980 con la riduzione sensibile della superficie estiva.
La maggiore accessibilità della regione e lo scenario di un Artico libero da ghiacci in estate, se costituiscono segnale pericoloso per il futuro del pianeta, significano nondimeno nuove opportunità economiche ovvero l’apertura delle vie di navigazione transoceaniche e la possibilità di sfruttamento di risorse naturali come idrocarburi, minerali, terre rare prima tecnicamente o economicamente meno interessanti.
Da quando il fenomeno ha subito un’accelerazione, verso la metà degli anni 2000, studiosi, politici e mezzi di informazione hanno cominciato a disegnare possibili scenari sul futuro dell’Artico.
La regione adempie bene ai criteri della geopolitica:
Nel corso del decennio precedente 2 avvenimenti avevano accresciuto l’interesse sull’Artico.
Evidentemente, l’apertura di territori, prima ricoperti di ghiaccio, alla possibilità di attività economiche ha attivato dispute di sovranità dal valore simbolico ed economico come la delimitazione dei confini marittimi, la definizione della piattaforma continentale, lo status giuridico del passaggio a Nord ovest lungo le coste canadesi e della Northern Sea Route (NSR), la rotta euroasiatica.
Molte delle controversie sono state risolte. Tra le più significative nel 2010 l’accordo russo norvegese per la delimitazione del confine marittimo del Mare di Barents. Le residue dispute sono di carattere simbolico (isolotto di Hans tra Canada e Danimarca) oppure sono state congelate, come l’accordo tra Canada e Stati Uniti sul passaggio a Nord ovest (accordo sulla cooperazione nell’Artico 1988). A dire il vero, fino ad oggi le contese tra gli Stati sono state gestite in maniera conforme al diritto internazionale.
La Russia ha sottoposto la questione della delimitazione della piattaforma continentale che la vede in competizione con Canada e Danimarca alla Commissione delle ONU sul diritto del mare istituita con Montego Bay. Altre questioni, vedendo protagonisti Stati alleati (NATO), difficilmente potrebbero generare un’alterazione della gestione cooperativa del Nord che costituisce oramai una storia trentennale.
Una collaborazione che non ha subito grossi sussulti nemmeno nel 2014 quando, l’annessione della Crimea da parte di Mosca, ha finito per mutare profondamente il senso della relazione Russia Occidente con un fatale danno all’ordine di sicurezza dell’Europa post guerra fredda.
Il mantra della cooperazione internazionale ha costituito l’humus che negli anni 90 del secolo scorso ha portato alla creazione del Consiglio Artico (CA), il forum intergovernativo diventato il centro gravitazionale del multilateralismo regionale.
Il CA, istituito nel 1996 come mezzo di cooperazione tra otto Stati, gli Artic Five più Islanda, Finlandia e Svezia, simbolizza la più importante forma di cooperazione istituzionale dell’area pan artica fornendo un continuo luogo di discussione sui temi artici da cui sono tuttavia escluse le questioni di carattere militare.
Con il tempo la partecipazione è stata aperta a ben a 40 soggetti tra organizzazioni non governative, istituti di ricerca e Stati osservatori, tra cui l’Italia dal 2013. Protezione ambientale e temi dello sviluppo sostenibile e della cooperazione scientifica, questa la mole di lavoro portata avanti da 6 workings groups dove esperti e scienziati accademici affrontano i temi del loro specifico settore di competenza.
Sotto l’auspicio del CA sono stati negoziati 3 accordi vincolanti:
Oltre al CA, una cooperazione funzionale si svolge in una molteplicità di organismi, alcuni subregionali come il Consiglio Euro Artico di Barents (cooperazione intergovernativa), il Consiglio regionale di Barents (cooperazione interregionale), il Consiglio economico artico (con attori economici privati), che arricchiscono la governance e contribuiscono allo sviluppo economico dell’area.
La struttura istituzionale artica è sostenuta da una fitta rete normativa. Allo strumento fondamentale del diritto del mare e ai trattati negoziati in seno al CA si sono affiancati di recente:
A ciò si aggiunga un dato politico significativo: nei documenti dedicati al Nord di tutti gli Stati artici o con interessi in Artico si reitera l’immutato impegno al mantenimento al Nord di una zona di pace e dialogo.
Cooperazione pacifica nel Nord l’espressione utilizzata da Mikhail Gorbachev a Murmarsk che nel 1987, alla vigilia del crollo dell’URSS, delineava i tratti essenziali di una vera e propria società internazionale regionale rimasta ad oggi relativamente immune dalle tensioni dell’ordine mondiale.
Le trasformazioni in Artico, con il loro corollario di interessi economici e politici, hanno avuto un’incidenza notevole sulla sicurezza, particolarmente per le attività di search and rescue che implicano la presenza di militari e forze di sicurezza nell’area. In particolare, sono gli assets militari russi che hanno subito un costante aumento da 2007.
Infatti, con il ritorno di Mosca sulla scena internazionale sono ripresi i pattugliamenti dei bombardieri strategici ai confini dello spazio aereo della NATO, si è assistito alla riapertura di vecchie basi militari, alla costruzione di nuove e il Comando strategico Congiunto della Flotta del Nord è diventato, dal 2014, il quinto distretto militare della Federazione.
Tutto risponde ciononostante a un legittimo intesse interno del Cremlino. La Russia è in realtà la quintessenza dello Stato artico. Il Nord è parte dell’identità nazionale con interessi geopolitici vitali nella regione: il 20% del PIL è generato in Artico e, dal punto di vista militare, la penisola di Kola ospita 2/3 del nucleare russo.
I documenti strategici di Mosca mettono in evidenza che l’aumentata componente militare ha due motivazioni.
Se la postura russa regionale può ritenersi difensiva, la tensione sistemica configura il sentimento di vulnerabilità strategica: aprendo lo spazio artico ad una presenza internazionale importante, il cambiamento climatico rafforza a Mosca il senso di accerchiamento.
Il secondo attore i cui interessi economici in Artico hanno provocato preoccupazioni è la Cina. Stato osservatore del Consigli Artico dal 2013, ha pubblicato una Strategia Artica nel 2018, dove asserisce il rispetto del diritto internazionale e i diritti sovrani degli Stati artici ma rivendica il diritto alla ricerca scientifica, alla navigazione, alla pesca alla posa di cavi sottomarini in alto mare.
Dagli investimenti economici nelle miniere della Groenlandia e nello sviluppo dei progetti di gas russi (20% di partecipazione in Yamal LNG e 20% in LNG2), alla navigazione lungo la via della seta artica: impossibile non leggere, nell’impronta artica di Pechino, la visione del Presidente Xi Jingping di fare della Cina una superpotenza mondiale.
Infine, gli Stati Uniti, con importanti interessi economici in Alaska, hanno riattivato l’attenzione al Nord affievolitasi nel post guerra fredda.
Se anche l’attuale approccio USA resta sotto il segno della cooperazione e della necessità di mantenere la regione all’insegna dell’ordine normativo per gestire congiuntamente le sfide comuni, l’allarme scatta proprio sulle azioni e motivazioni di Cina e Russia indicate come la sfida principale alla sicurezza e alla prosperità americane nel lungo periodo.
La Strategia artica del Dipartimento della difesa (2019) racconta la necessità di una maggiore presenza navale americana nella regione. A tal proposito, se la ricostituzione della seconda flotta (2018) è principalmente volta a contrastare la Russia nell’Atlantico del nord, laddove la contrapposizione è reale e pericolosa, costituisce in aggiunta una modalità per esercitare pressione in Artico.
Le diffuse considerazioni sulla trasformazione dell’Artico in una prossima arena di conflitto geopolitico non risultano del tutto convincenti. Due sono i fattori interconnessi che non giocano a favore di questo scenario.
La densa struttura istituzionale e normativa, che si è stratificata nel corso di almeno 3 decenni, non sembra registrare concreti segnali di sfaldamento. In altri termini il multilateralismo, in crisi altrove, continua al Nord a produrre interazione, comportamenti virtuosi e, quel che più conta, strumenti di soft e hard law.
In altri termini, nessuno degli attori di riferimento ha intenzione o interesse ad alterare la modalità di interazione cooperativa nella regione. Pertanto, il dialogo non si affievolisce al Nord del pianeta ma si resta fedeli al multilateralismo che qui, come altrove, ha poco a che vedere con le buone intenzioni degli Stati ma è sempre una questione di amministrazione della potenza. L’equilibrio di potenza non è mai del tutto stabile, tanto meno in epoca caratterizzata dall’emergere accelerato di nuovi attori globali.
Detto questo c’è ad oggi un equilibrio in Artico e la regione non sembra voler partecipare attivamente alla ricomposizione dell’ordine internazionale. Questo ordine può essere mantenuto a patto che siano intrapresi specifici percorsi per consolidare la cornice istituzionale che rende durevole l’eccezionalità dell’Artico.
Per approfondire l’argomento: “Italia e Canada, Visioni per l’Artico”, venerdì 15 Gennaio 2021 diretta live sulla pagina Facebook di Osservatorio Artico.
Laura Borzi – Centro Studi Italia-Canada
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