Il 2023 è stato un anno di forte incremento dell’interesse mondiale nei confronti dell’Artico. Una panoramica generale per capire perché.
Se pensavate che l’unico banco di prova tra Russia e Occidente fosse da ricercarsi nella guerra in Ucraina, vi sbagliate. Da anni, infatti, le più grandi potenze mondiali si stanno confrontando in un’altra regione del pianeta, l’Artico, dal momento che questo territorio comincia a essere di grande importanza non solo dal punto di vista climatico ma anche strategico.
Oltre il 40% delle riserve mondiali di combustibili fossili si troverebbe sotto il suo mare, mentre grazie allo scioglimento dei ghiacciai le rotte marittime dell’area potrebbero essere presto navigabili in tutte le stagioni dell’anno, permettendo una diminuzione del tempo di percorrenza del commercio marittimo tra Oriente e Occidente di settimane, e garantendo un’accelerazione dei mercati internazionali senza precedenti.
Le pretese russe sull’Artide si muovono in due direttrici. La prima è quella diplomatica, presentando ricorsi all’ONU, prima nel 2012 e poi nel 2015, per dimostrare come il Polo Nord sia direttamente collegato alla piattaforma continentale russa. Ciò che chiede la convenzione ONU a quegli Stati che vantano la sovranità di un territorio marino, infatti, è l’inconfutabile continuità geologica. In questo modo, la Federazione Russa è riuscita a espandere la propria Zona economica esclusiva su una porzione di fondale marino contenente potenziali miliardi di combustibili fossili.
La seconda, invece, è quella militare, necessaria per poter scoraggiare chiunque voglia metterne in discussione il dominio. Per rendersi conto della situazione, basti considerare a quanto ammonti l’effettiva presenza militare russa nella zona. Con le basi navali di Zaozërsk, Zapandanya Litsa e Gadzievo il Paese dispone di oltre il 1300 testate nucleari nella sola area artica occidentale, assieme a una flotta che, disponendo di oltre 240 unità navali, è la più potente della Marina nazionale.
Un rapporto del Centro di ricerca per il disarmo dell’ONU dimostra, poi, come tutte le armi nucleari non strategiche delle forze armate russe risiedano nella penisola di Kola, a due passi dalla Norvegia e dalla Finlandia.
Nel 2017, invece, fu proprio Putin a inaugurare sulle fondamenta di una vecchia base sovietica Arkticheskij Trilistnik (Trifoglio bianco). Il nuovo più importante accampamento militare della regione, con 150 soldati addestrati alla guerra bianca, capaci resistere per diciotto mesi di assedio e dotati di una pista per il decollo di caccia Mig – 31 o di bombardieri Su – 34.
Infine, se si va a prendere in esame il numero di rompighiaccio di cui la Russia dispone, il confronto per l’Occidente risulta imbarazzante. Il Cremlino dispone di 40 rompighiaccio, di cui una decina nucleari, mentre gli Stati Uniti solo tre, di cui una in funzione.
La politica della neutralità di questi due Paesi nordici ha un’origine e delle motivazioni differenti. Se dopo aver preso parte alle Guerre Napoleoniche all’inizio del 1800, la Svezia aveva preso l’impegno politico e morale di non partecipare più ad alcun conflitto militare, di fatto può dirsi un Paese neutrale dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Nel caso della Finlandia invece, che ha ottenuto l’indipendenza dalla Russia nel 1917, all’origine della neutralità c’è un Trattato di amicizia firmato con l’Unione sovietica nel 1948. Durante la Guerra Fredda entrambi gli Stati scandinavi hanno ribadito la loro posizione neutrale nello scontro tra grandi potenze, preferendo mantenere un rapporto equidistante anche sul fronte politico e commerciale.
Per queste ragioni e per non far perdere credibilità al loro status neutrale, sono rimaste fuori anche dal percorso di integrazione europea. Dopo la dissoluzione dell’URSS all’inizio degli anni ‘90 la situazione è iniziata a cambiare sul piano politico e militare.
Già nel 1994 Svezia e Finlandia hanno aderito al Partnership for Peace (PfP), l’accordo di collaborazione con la NATO esteso a tutti i Paesi precedentemente sotto la cortina di ferro, e nel 1995 sono diventati anche Stati membri dell’Unione europea.
Progressivamente hanno intrapreso un percorso di riforme che ha portato la Svezia ad essere sempre più attiva nelle missioni internazionali e la Finlandia a rafforzare le proprie difese. Inoltre, come Membri EU hanno sempre sostenuto la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC o in inglese ESDP) e partecipano alle missioni degli EU battlegroups. Dal 2008, infatti, fanno parte del Nordic EU battlegroup, insieme a Norvegia, Estonia, Lettonia e Irlanda.
L’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha accelerato questo processo, che ha avuto un ulteriore e definitivo balzo in avanti dopo l’inizio della Guerra in Ucraina.
Se la Finlandia già agli inizi degli anni 2000 si dichiarava possibilista rispetto a un futuro ingresso nella NATO, questo non era mai stato nelle intenzioni della Svezia. In un contesto internazionale completamente diverso, entrambe hanno presentato ufficialmente domanda di adesione il 18 maggio 2022. Intanto in Danimarca il 1 giugno 2022 si è svolto un referendum in cui il 66,9% dei votanti si è espresso favorevolmente alla partecipazione del Paese “alla cooperazione europea in materia di sicurezza e difesa”, rimuovendo così l’opt-out posto nel 1992.
In poco tempo sono stati rimossi due importanti ostacoli alla cooperazione in materia di difesa tra gli Stati nordici. A questo punto, considerando anche gli accordi trilaterali di cooperazione tra Danimarca, Norvegia e Svezia (firmato nel 2021) e tra Finlandia, Norvegia e Svezia (aggiornato a fine 2022), oltre che all’esistenza della Nordic Defence Cooperation (Nordefco) che include anche l’Islanda, si può dire che sia definitivamente alle spalle la neutralità nordica, senza remore o ostacoli.
Ora la cooperazione nordica, già forte in altri settori, può includere completamente anche la sicurezza e la difesa. Si arriva, quindi, al marzo del 2023 quando i comandanti delle forze di aeronautica di Svezia, Finlandia, Danimarca e Norvegia hanno annunciato l’intenzione di unire le forze per creare un’unica forza aeronautica nordica. Uno degli obiettivi principali è contrastare la crescente minaccia della Russia, anche in riferimento al quadro geopolitico dell’Artico.
Che cosa sta a significare, però, l’alleanza delle aeronautiche scandinave in un contesto più ampio, in un contesto europeo? Non è una domanda facile a cui rispondere, ma si possono formulare delle ipotesi che ci aiutino a capire gli effetti di questa scelta a lungo termine.
Come sappiamo, il baricentro della politica estera statunitense sta cominciando a spostarsi dal continente europeo a quello asiatico, con particolari interessi nell’area dell’Indo – Pacifico. Continuare ad assicurare gran parte della difesa dei confini europei comincia a essere oggettivamente problematico e da alcuni anni le richieste americane di maggiore indipendenza da parte dei colleghi europei si fanno sentire: assicurare una pronta assistenza in tutte le aree del mondo non è possibile, considerando che solo nel 2023 la spesa militare americana si è aggirata attorno agli ottocento miliardi di dollari.
Se la collaborazione tra le aeronautiche di Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca andasse a buon fine, nulla precluderebbe un’intesa dello stesso genere tra le altre componenti delle loro forze armate, arrivando quantomeno a un semi – raggiungimento dell’autonomia militare.
Più volte il sistema scandinavo ha funto da modello per gli altri Paesi europei: se, come abbiamo già detto, il patto nordico dimostrasse di funzionare, ciò potrebbe essere l’occasione per l’Unione europea di avviare un serio progetto di difesa comunitaria, rispondendo sia alle sue stesse esigenze sia alle richieste americane.
L’intesa scandinava può aprire una nuova stagione anche circa un rinnovato protagonismo europeo nell’Artico. Abbiamo detto, infatti, che l’Artide sta attirando l’interesse delle più importanti potenze globali non solo per la questione climatica, bensì per quella economica e strategica. Oltre a essere sede di importanti riserve di combustibili fossili, alcuni territori dell’area ospitano importanti giacimenti di minerali su cui non pochi Paesi stanno puntando gli occhi.
Alcune compagnie sono già all’opera in tutta l’area: colossi mondiali come Bhp Billiton, Anglo – American, Rio Tinto e Xstrata mandano in esplorazioni le sussidiarie con trivellazioni, carotaggi e pesanti operazioni operazioni di lobbying nei ministeri, soprattutto groenlandesi.
La nuova strategia artica dell’UE, non a caso, punta sull’accaparramento dei diritti di estrazione mineraria su suolo groenlandese proprio in contrasto alle mire russe e cinesi (terreni, si ricorda, il cui controllo rientra nella giurisdizione del solo governo locale). Seguendo il piano, “le valutazioni ambientali, economiche e sociali” saranno da combinare con “le migliori pratiche e i più elevati standard ambientali per l’estrazione mineraria, la gestione dei rifiuti e la risposta agli incidenti”.
In un’area dove gli interessi ambientali, economici e politici di più nazioni si incrociano, tuttavia, tali interessi devono essere protetti: la deterrenza militare russa va esattamente in questa direzione e così conviene che facciano anche gli europei, perché il nuovo ordine mondiale sarà deciso tra ghiacciai dell’Artico e pensare di poter competere da soli in questa partita non è fattibile: che l’Europa lo abbia capito?
Nicolò Radice Fossati, Riccardo Sala
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