Alcune start-up vogliono pompare acqua sulla superficie della calotta polare per creare nuovi strati di ghiaccio e invertire il trend di scioglimento. Ma quanto è fattibile?
Come una pista di pattinaggio
La tradizione olandese per il pattinaggio su ghiaccio è talmente radicata da essere diventata uno degli stereotipi sul popolo dei Paesi Bassi. Anche se, negli ultimi anni, il riscaldamento climatico non consente più la glaciazione dei canali, impedendo una delle attività più suggestive della stagione invernale. Sono sempre più rari i casi in cui si vedono all’opera gli ‘ijsmeesters’, i “maestri del ghiaccio” che, versando strati d’acqua sul ghiaccio, lo addensano e rafforzano dopo che questi strati si sono congelati.
Una tecnica semplice e antica che oggi ritrova applicazione nella lotta allo scioglimento dei ghiacci artici, grazie allo sforzo di un gruppo di imprenditori e ricercatori olandesi che hanno fondato la start-up Arctic Reflections.
“Quando fa freddo, gli Ijsmeesters iniziano una corsa frenetica per essere i primi nel villaggio a organizzare una maratona di pattinaggio sul ghiaccio”, afferma Fonger Ypma, amministratore delegato di Arctic Reflections. “Inondano un prato con uno strato sottile d’acqua che diventa ghiaccio, e ogni notte vi applicano sopra strati più sottili. E poi, una volta che è abbastanza spesso, iniziano a pattinare. Fa parte del nostro patrimonio culturale”.
Il ghiaccio artico si sta riducendo a grande velocità e le proiezioni arrivano a ipotizzare un artico senza ghiaccio durante l’estate già entro il 2030. Le conseguenze drammatiche per il clima globale e per l’ecosistema artico e i suoi abitanti hanno spinto Ypma a voler fare qualcosa. E forse i ricordi dei pomeriggi invernali passati coi pattini ai piedi, nella sua Olanda, gli hanno dato un’idea.
Ingenuo, ma non troppo
“L’Artico agisce come una sorta di specchio o scudo termico per la Terra e una parte sostanziale del riscaldamento globale deriva dal fatto che la superficie terrestre diventa più scura”, afferma. “E così ho pensato: non esiste un modo per mantenere quella calotta glaciale un po’ più a lungo finché i livelli di CO2 non scendono e il ghiaccio diventa rigenerativo? Ho avuto questa idea ingenua: perché non pomparci sopra l’acqua?”
Fin qui, per quanto intuitivamente possa anche funzionare, l’idea appare piuttosto naif, considerando che la calotta artica, alla sua minima estensione, copre circa 5,5 milioni di chilometri quadrati e quasi tre volte tanto alla sua massima espansione. Ovvero circa 50 volte l’estensione dell’Italia, non proprio un’impresa facile quanto creare una pista di pattinaggio.
Ma Ypma e i suoi soci olandesi non sono i primi ad aver avuto quest’idea: l’ispessimento del ghiaccio, come soluzione per rafforzare la calotta glaciale artica e consentire al ghiaccio di sopravvivere ai mesi estivi, è stato proposto già da altre aziende, ma la fattibilità di farlo su larga scala è rimasta un punto interrogativo. Arctic Reflections spera di poter sfruttare la vasta conoscenza ed esperienza dell’ecosistema olandese di gestione dell’acqua, con le sue università tecniche di livello mondiale e alcune delle più grandi società di dragaggio e offshore del mondo.
Già nel 2016, il fisico Steven Desch e i colleghi dell’Arizona State University hanno proposto di costruire pompe eoliche da 10 metri sopra la calotta glaciale artica per portare l’acqua in superficie in inverno, aggiungendo potenzialmente un metro di ghiaccio.
Real Ice e la sfida dell’espansione
Un’altra azienda britannica di nome Real Ice, che ha un’idea simile, ha già condotto una serie di test sul campo a Iqaluktuuttiaq (il nome Inuit per Cambridge Bay), Canada: perforando il ghiaccio, i ricercatori hanno pompato acqua di mare utilizzando una batteria a idrogeno e lasciato che temperature prossime a -50°C (-58°F) la ricongelassero in superficie.
E in questo progetto avveniristico si parla anche un po’ di italiano. “Al momento lo spessore del ghiaccio è di circa un metro”, afferma Andrea Ceccolini, co-amministratore delegato di Real Ice e imprenditore digitale di lunga data. “Ricongelando lo strato superiore, dove c’è neve, aggiungeremo 10-20 cm. Successivamente, il ghiaccio diventerà più spesso perché stiamo rimuovendo l’isolamento della neve, che limita l’ulteriore crescita”.
Ceccolini spera di sviluppare un drone sottomarino che sarebbe in grado di navigare nell’acqua a -1,5°C, rilevare lo spessore del ghiaccio, pompare acqua se necessario, fare rifornimento e poi spostarsi al punto successivo. “Se dimostriamo che è possibile coprire 100 kmq al giorno con 50 droni, allora possiamo dimostrare che questo processo può effettivamente espandersi su un’area molto più ampia”, ha affermato Ceccolini.
“Gran parte del nostro successo sarà determinato dal modo in cui ci impegneremo con la comunità locale”, afferma il co-amministratore delegato di Real Ice, Cian Sherwin, che promette di donare la tecnologia ai popoli indigeni come parte integrante della strategia di successo, un aspetto condiviso anche da Arctic Reflections. “Coinvolgendo la popolazione locale nelle iniziative di ripristino del ghiaccio, la loro preziosa conoscenza tradizionale può essere integrata nella ricerca scientifica e nella pianificazione, portando a strategie e risultati più efficaci” si legge sul sito.
Un cerotto, non la soluzione
Per la start-up olandese, tuttavia, l’obiettivo principale è aumentare l’albedo del ghiaccio, ovvero la capacità del ghiaccio di riflettere i raggi del sole nell’atmosfera. L’altra idea è indagare se le correnti artiche potrebbero diffondere il ghiaccio addensato in punti strategici. Quindi, invece di aver bisogno di tante pompe, si potrebbero potenzialmente salvare 100.000 km quadrati di ghiaccio dallo scioglimento in estate con solo qualche centinaio di installazioni. Un altro progetto olandese, il Sand Motor, illustra perfettamente questo principio, che utilizza le correnti marine per spargere la sabbia in modo naturale e rafforzare le difese costiere dei Paesi Bassi.
Ma ci sono ancora molte domande senza risposta. Hayo Hendrikse, assistente professore alla Delft University of Technology, ha lavorato su test di laboratorio e sul campo insieme ad Arctic Reflections, e ammette: “Vedo un potenziale di applicazione su scala più piccola, ad esempio se si vuole rafforzare gli habitat naturali per gli orsi polari e le foche, dove il ghiaccio marino in estate potrebbe sopravvivere un po’ più a lungo se prendiamo di mira fiordi o baie specifici. Ma non è una soluzione, è solo un cerotto”. Una posizione su cui gli scienziati concordano: sembra una buona idea, ma agire su una scala sufficientemente ampia da avere un impatto reale sul clima è ancora molto, molto difficile.
Enrico Peschiera
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