Politica

Arctic Circle Assembly: “L’Artico è a un bivio”

Primo giorno dell’assemblea annuale del mondo artico, arrivata quest’anno alla sua decima edizione, a Reykjavìk fino al 21 Ottobre.

Il primo giorno dell’Arctic Circle Assembly

È il 2017 quando un incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin getta ufficialmente le basi per il progetto della Polar Silk Road. Una rotta marittima commerciale estrema, che va ben oltre la già visionaria scelta di far transitare le navi cargo al largo delle coste artiche russe. Quest’ultima prende il nome di Northern Sea Route, o più poeticamente di “Passaggio a Nord-Est”. 

La storia racconta molto, e così si apre la decima edizione dell’Arctic Circle Assembly a Reykjavìk. La capitale islandese diventa per un giorno capitale dell’Artico tutto. Oltre 70 Paesi coinvolti, con delegati di prim’ordine tra ambasciatori e ministri, presidenti e delegati. Ma anche amministratori delegati, inviati speciali, esperti e scienziati. Perché se fino a poco tempo fa la cooperazione era la base e l’esempio dell’Artico nel mondo, dopo il 24 Febbraio 2022 c’è un convitato di pietra presente all’evento: la Russia di Vladimir Putin

“Dopo l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina la Polar Silk Road è stata rallentata probabilmente per paura di richiedere i permessi per i passaggi in acque russe”, si sente dire nel panel dedicato al mondo dello shipping, tra i punti cruciali dell’Artico del futuro. 

Il mare del futuro

Nonostante gli scarsi risultati economici raggiunti finora, infatti, il progetto della Northern Sea Route e della possibile Polar Silk Road futura è importante per la Cina per garantirsi un flusso costante di energia, trasporti e “anche se scompare dall’agenda politica non significa che non sia di interesse strategico”

“Le sfide in corso sono molto gravi, e ciò che è cambiato in questo decennio è paradigmatico di quello che significa lavorare insieme agli altri Paesi, o no”. Questo il succo del discorso d’apertura di Katrín Jakobsdóttir, primo ministro islandese, presente oggi all’inaugurazione dell’evento all’Harpa Centre.

Sfide che partono inevitabilmente dall’ambiente e dal clima, ma che non possono non riguardare anche gli aspetti culturali, sociali, economici e di emancipazione di genere. Temi trasversali che sono rimasti latenti o assenti a queste latitudini, ma che ora prendono vita e vengono in superficie. 

Il ruolo della cooperazione scientifica

Sono decine e decine i panel che affollano gli spazi del grande centro congressi vetrato della capitale islandese. Dal Canada alla Cina, dall’Italia e dalla Groenlandia, migliaia di voci raccontano singoli dettagli e analisi di ogni sorta. 

La cooperazione scientifica è uno dei temi cardine della manifestazione. Perché non si può lavorare per proteggere ambiente e clima senza lavorare in accordo con colossi geografici che possono dare impulsi e segnali forti per un cambiamento. In un senso o nell’altro. 

Rasmus Bertelsen, della UIT, fa luce su questo aspetto, durante la tavola rotonda che coordina sulla governance artica. Passata, presente, ma soprattutto futura. Il contributo che l’Asia pul dare alla ricerca scientifica è molto vasto, e così Cina, Giappone, Corea e India diventano interlocutori interessanti anche per il mondo di ghiaccio. 

L’identità della Groenlandia

“È importante ridare i nomi ai luoghi in groenlandese”, dice Qivioq Lovstrom, ricercatrice Inuit presente all’Assemblea. “È importante perché stiamo riscrivendo la storia e vogliamo decolonizzarla anche attraverso l’uso corretto della lingua”. 

Stampa e televisioni in lingua groenlandese sono tra gli strumenti che la nuova generazione di Nuuk utilizza per raccontare, tramandare, esistere oltre la sussistenza erogata dalle casse del Regno di Danimarca, a cui la Groenlandia è legata nonostante un’ampia autonomia. Che però non porta grandi risorse di per sé. 

“Il governo danese chiede di usare la versione groenlandese del danese nelle traduzioni, che è diverso dal groenlandese nativo, e questo è per noi molto dispendioso in termini di fatica. E rischiamo di perdere sfumature importanti. Non c’è la giusta terminologia tecnica di alcune parole del mondo contemporaneo, perchè anche questa è una forma di colonizzazione, a loro non servono certi termini, sono imposti e non necessari”.

Facebook e internet funzionano molto bene nelle poche aree urbanizzate della più grande isola del mondo, ma il rischio è di perdere una lingua considerata “inutile” per concentrarsi sull’inglese e su ciò che il mondo del lavoro richiede. Un’altra identità.

Elena MazziGiulia Olini Marco Volpe

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Redazione

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