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Arctic Circle, appello alla stabilità regionale

Si è chiusa da pochi giorni l’Arctic Circle Assembly di Reykjavík, appuntamento annuale che determina le indicazioni apicali a livello politico sulla regione artica. L’evento, che si svolge presso l’Harpa Centre della capitale islandese, quest’anno ha visto un’unica ampia richiesta globale: stabilità.

La necessità di istituire un meccanismo stabile di governance e di dialogo per l’Artico è stata evidenziata in occasione di questa settima edizione. L’Arctic Circle Assembly 2019 ha visto la partecipazione di oltre 2.000 tra Capi di Stato e di governo, funzionari, diplomatici, esperti e imprenditori provenienti da oltre 60 Paesi.

Parlando all’apertura dell’assemblea, il primo ministro islandese Katrín Jakobsdóttir ha sottolineato l’importanza di istituire un forum artico specifico in grado di affrontare i temi della  sicurezza, delle controversie territoriali e dello sfruttamento delle risorse naturali. Ma a farla da padrone è stata sicuramente una tematica che trascende le strategie politiche nazionali: la questione climatica.

Il progressivo scioglimento dei ghiacci e la rapidità del cambiamento climatico a queste latitudini impongono prese di posizioni radicali a livello internazionale, ma si fa strada anche una posizione più “scomoda”, che fino a poco tempo fa era relegata a mera propaganda, ovvero la geo-ingegneria. Questa branca scientifica punta a preservare e/o modificare le condizioni ambientali attraverso la costruzione di impianti e strutture così vasti da poter, ad esempio, mitigare gli effetti del riscaldamento globale, o addirittura di “raffreddare” intere regioni. Parliamo certamente di una frontiera estrema, ma che inizia a farsi largo anche nei principali consessi globali.

Come analizza Mia Bennett, esperta di questioni artiche e analista:

La partecipazione alla maggior parte degli incontri dell’Arctic Circle negli ultimi sette anni mi ha dato una prospettiva su come si è evoluta la conversazione sul futuro della regione. Nel corso degli anni, tutti – dall’ex presidente dell’Islanda Olafur Ragnar Grímsson all’ex segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e ora, quest’anno, l’ex segretario di Stato americano John Kerry – hanno detto qualcosa secondo cui “l’Artico è la prima linea del cambiamento climatico”. Anche se il sole non sorge per mesi e mesi in inverno, la temperatura media verso nord sta aumentando due volte più velocemente della media globale. In un discorso plenario di quest’anno, Henry Tillman, fondatore e presidente di China Investment Research, ha sottolineato che la Siberia ha assistito ad aumenti di temperatura di una media di 2-7 ° C. Questa drammatica ascesa è sufficiente per consentire l’eventuale trasporto marittimo nella Northern Sea Route entro il 2027.

E ancora:

Se il 2013 era un periodo nel quale ExxonMobil, Shell e Statoil erano ancora i bambini più famosi, il 2019 è stato l’anno in cui i secchioni hanno preteso la loro vendetta. Sono state promosse due soluzioni di geo-ingegneria sul grande palcoscenico dell’Arctic Circle. In primo luogo, una società chiamata Ice911, che l’anno scorso aveva avuto appena una piccola sessione di breakout, quest’anno è salita sul palco principale e ha tenuto un panel laterale. Entrambi gli eventi nel 2019 hanno visto l’appoggio del fisico oceanico dell’Università di Cambridge Peter Wadhams. Il veterano scienziato artico nel 2016 ha pubblicato un libro intitolato “A Farewell to Ice“, ma se il pubblico deve credere al capo della tecnologia di Ice911, Lesley Field, che si vantava delle virtù salvifiche per il pianeta di scaricare miliardi di microsfere di vetro sulla superficie del ghiaccio dell’Artico, Wadhams dovrà presto scrivere in fretta un sequel chiamato “Hello Again, Ice”.

Mentre andava in scena uno spaccato di futuro tecnologico associato alla salvaguarda ambientale – colto con non poco scetticismo – il Segretario all’energia statunitense Rick Perry dichiarava pomposamente che il domani appartiene al Nord e che “Il futuro appartiene alla libertà”. Le mire statunitensi sulla regione artica riguardano fondamentalmente due aspetti: mantenere un certo grado di dominio strategico anche in questa zona e riuscire a utilizzare le risorse naturali in essa rimaste.

Ma tutti, dalla Svezia a Singapore, dalla Norvegia alla Russia, hanno ribadito che solo attraverso un impegno a più livelli verso la stabilità e uno sviluppo comune sostenibile si potranno ottenere risultati di salvaguardia ambientale e pace. Nel momento in cui tutti gli attori sulla scena si apprestano a vedere un nuovo inverno calare sull’Artico, la stabilità regionale è tutt’altro che scontata. E questo anche per riflesso di crisi distanti geograficamente ma non a livello temporale. Dagli screzi commerciali in atto fra Washington e Beijing al nuovo fronte di conflitto nel Nord della Siria, paradossalmente proprio il Polo Nord potrebbe diventare anche un nuovo spazio di possibile conflitto. Militare o no, sarà il tempo a dirlo.

Leonardo Parigi © Tutti i diritti riservati

Leonardo Parigi

Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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