Secondo uno studio recente, l’estate Artica potrebbe diventare “ice-free” già dal 2030 nelle proiezioni ad alta emissione, ed entro il 2050 nelle proiezioni più ambiziose.
L’Artico riveste un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del clima globale. Da una parte, la sua superficie ghiacciata e innevata riflette una parte significativa delle radiazioni solari, regolandone i flussi di energia e, quindi, di temperatura. Dall’altra, il permafrost artico – ovvero quell’area terrestre in perenne stato ghiacciato – immagazzina grandi quantità di anidride carbonica e metano, tra altri gas serra, arginandone l’effetto termico.
Quando si parla di sistemi climatici, il concetto di ’feedback’ si riferisce ai processi di amplificazione (se positivi) o attenuamento (se negativi) dei meccanismi climatici. Un esempio comunemente citato di ’feedback positivo’ in questo contesto è quello per cui il riscaldamento globale causa un incremento di evaporazione, e dunque di vapore acqueo nell’atmosfera, che, in cambio, ne accelera il processo. Più spesso viene menzionato un secondo, fondamentale feedback positivo, che ha come protagonista l’Artico: l’albedo del ghiaccio.
L’albedo non è altro che la capacità riflettente di una superficie. I ghiacciai artici, per la loro superficie bianca, hanno una capacità riflettente molto superiore a quella dei suoli e dei mari.
Quando il riscaldamento globale causa lo scioglimento dei ghiacciai, la loro estensione si riduce, e di conseguenza anche la loro riflettività. A causa di questo feedback positivo, l’Artico si sta scaldando ad una media che da alcuni è stata stimata tra le tre e le quattro volte superiore a quella globale, in un fenomeno che viene comunemente definito amplificazione artica.
Nonostante il processo sia conosciuto da decenni, molti fattori che controllano l’amplificazione artica rimangono ignoti. Ecco ciò che sappiamo: la perdita di ghiaccio artico è considerata il principale stimolo di questo riscaldamento non lineare. Quando il ghiaccio si scioglie, lascia scoperte porzioni oceaniche che, per la loro superficie più scura, tendono ad assorbire il calore emanato dal sole e aumentare le temperature. Inoltre, scongelandosi, la calotta glaciale groenlandese rilascia i gas serra trattenuti nel suo permafrost, esacerbando un ciclo continuo.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Communications riporta come, contro ogni previsione, l’estate artica dei peggiori scenari climatici futuri potrebbe essere priva di ghiaccio già dal 2030 a causa dell’amplificazione artica. Se questo non bastasse, persino gli scenari più favorevoli, quelli dove l’impronta antropica sulla terra verrebbe limitata drasticamente, riportano predizioni allarmanti: Settembre, notoriamente il mese estivo con meno superficie artica ghiacciata, potrebbe diventare “ice-free” già dal 2050.
Le conseguenze ambientali, sociali ed economiche del riscaldamento artico sono molte e inevitabilmente interconnesse. Tra le più citate, alcuni eventi meteorologici estremi si stanno verificando a latitudini più basse di seguito al mutamento delle circolazioni dei venti, alterandone il clima locale, mentre le infrastrutture e le attività tradizionali delle comunità indigene artiche subiscono interruzioni o danneggiamenti a causa dello scongelamento del permafrost.
Nel frattempo, la ricerca avanza. Nel gennaio 2024, verrà lanciata la terza fase del progetto di ricerca scientifica portato avanti da (AC)3 con l’ambizione di migliorare lo studio dell’amplificazione artica e dei suoi risvolti climatici per prevederne tendenze e mutamenti.
Chiara Ciscato
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