La nuova impresa di Alex Honnold, celebre arrampicatore statunitense già protagonista del documentario “Free Solo”, nell’Artico tra sport e ricerca scientifica.
Alex Honnold è un grande atleta. Non è un giocatore di calcio o di pallacanestro né un pilota di Formula 1: il suo regno è l’arrampicata sportiva, una disciplina non particolarmente popolare, nonostante sia stata inclusa tra gli sport olimpici a partire dagli ultimi Giochi di Tokyo. Eppure è famoso in tutto il mondo, come spesso accade, grazie al grande schermo.
Alla straordinaria impresa di Alex Honnold è infatti dedicato il film Free Solo – Sfida estrema, vincitore del premio Oscar 2019 come miglior documentario. Il lungometraggio racconta la scalata della via Freerider su El Capitan, celeberrima montagna californiana del Parco Nazionale di Yosemite, compiuta in, appunto, free solo.
Nel linguaggio dell’arrampicata, con la locuzione free solo si indica la pratica – non particolarmente diffusa, capirete presto perché – di scalare una parete senza nessun tipo di corda, imbragatura o protezione. Nessuna. Alex Honnold ha affrontato una scalata in free solo su una parete verticale alta 900 metri, dove anche il più piccolo errore avrebbe potuto costargli la vita, in poco meno di quattro ore. L’Oscar è andato ai registi del documentario (tra i quali il famoso Jimmy Chin), ma forse anche Alex se lo sarebbe meritato.
Vogliamo però oggi raccontarvi un’altra avventura dell’arrampicatore statunitense, insieme alla collega britannica Hazel Findlay. Nel mese di agosto del 2019, una spedizione composta dai due rinomati alpinisti, una troupe cinematografica e una glaciologa francese, la dottoressa Heïdi Sevestre, è partita alla volta della Groenlandia orientale sotto l’egida dell’Arctic Monitoring and Assessment Programme, un gruppo di lavoro del Consiglio Artico.
L’obiettivo della spedizione non era però soltanto quello di scalare montagne. La missione aveva l’intento di raggiungere una regione estremamente remota e difficilmente accessibile per condurre rilevazioni di dati, essenziali per lo studio dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. Ovvero la più grande massa di acqua dolce del mondo nonché una delle più vulnerabili agli effetti del surriscaldamento globale.
Tutti i membri della spedizione, inclusa la dottoressa Sevestre, si sono dovuti impegnare nell’arrampicata. Affrontando condizioni proibitive, temperature di circa -6 gradi e una tempesta di neve (il dolce clima groenlandese della metà di agosto), hanno scalato un primo pilastro alto quasi 500 metri, raccogliendo campioni di roccia, neve e ghiaccio. Hanno così raggiunto una regione pressoché inesplorata della Groenlandia ai confini della calotta glaciale di Renland.
Mentre la dottoressa Sevestre si occupava delle rilevazioni, gli alpinisti si sono dedicati alla prima ascensione del picco Ingmikortilaq (alto 1150 metri e conosciuto come “il solitario” in lingua groenlandese), secondo le loro parole una delle più significative della loro carriera, nonché una delle più stressanti.
L’Ingmikortilaq è una formazione rocciosa a picco sul mare, composta da gneiss risalente a tre milioni di anni fa che si sgretolava letteralmente tra le mani degli arrampicatori. Nonostante ciò, dopo due giorni di tensione in parete, Alex e Hazel sono però finalmente riusciti a raggiungere la vetta, emergendo dalla parete nord e godendosi il tiepido abbraccio del sole.
Anche questa impresa sarà presto narrata sullo schermo. La miniserie del National Geographic intitolata Arctic Ascent with Alex Honnold sarà infatti disponibile su Disney+ a partire dal prossimo 5 febbraio. E, visto che tutti ve lo state chiedendo, no, questa volta i nostri eroi hanno usato i chiodi e le corde. Niente free solo.
Tommaso Bontempi
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