Un giudice federale dell’Alaska ha rovesciato, lo scorso 30 marzo, il tentativo del presidente americano Donald Trump di aprire vaste aree nell’Oceano Artico e nell’Atlantico a nuove piattaforme per l’estrazione di idrocarburi. La decisione, emessa dal giudice distrettuale Sharon Gleason, lascia quindi intatta la decisione del Presidente Barack Obama, che istituiva un blocco a questo tipo di investimenti nel Mar di Čukči, nel Mare di Beaufort e in un’ampia fascia di Oceano Atlantico.
Il tentativo di Washington di allargare a quest’area il potenziale investimento delle aziende petrolifere (e non solo) viene perciò considerata illegale, in contrapposizione con la Legge Outer Continental Shelf Lands. Solo il Congresso – stando alla decisione della giudice Gleason – ha quindi il potere di ampliare il raggio d’azione in questa zona marina per quanto concerne gli investimenti di ricerca in campo energetico.
I divieti imposti da Obama “Rimarranno in piena forza ed effetto fino alla revoca del Congresso”, ha specificato Gleason nella sua sentenza. La scelta di Trump si rifà a un ordine esecutivo del 2017 che si legava a sua volta al programma di “Energy Dominance” previsto nel periodo elettorale.
Il bando sulle trivellazioni per l’estrazione di petrolio e gas naturale – considerato un elemento cruciale per il futuro assetto energetico mondiale e per la transizione ambientale – era stato uno dei baluardi dell’Amministrazione Obama, contenuto in tre norme del 2015 e del 2016.
«Il nostro Paese è dotato di incredibili risorse naturali», ha recentemente fatto notare Trump, «ma il Governo federale ha mantenuto il 94% di queste aree marine chiuse all’esplorazione a alla produzione, privandoci di migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari di ricchezza». Il piano di Trump dovrà quindi passare dal Congresso, anche se la strada sarà impervia anche a causa dell’estrema delicatezza della questione, in un momento dove ambiente e protezione dei mari sono diventati aspetti fondamentali della politica.
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