È il tema del momento. L’opinione pubblica internazionale si accalora e si divide sul Clima: Conferenze ONU, movimenti d’opinione e gruppi organizzati preoccupati “dall’estinzione”, progetti di politiche pubbliche green new deal in Occidente, Paesi influenti che pongono riserve. In tutto ciò, il quadrante geografico in cui gli effetti climatici sono più accentuati, e che a loro volta costituiscono cause di mutamento nel resto del Globo, è l’Artico. Anche qui, nonostante sia ancora poco popolato e con interessi economici crescenti ma di piccola entità rispetto ad altre latitudini, si pone il dilemma del trade-off tra coscienza ecologica e modello industriale inquinante.
Il caso diviene eclatante in Alaska, ove per la prima volta dal 1966 una delle tredici corporazioni regionali native dell’Alaska, il Arctic Slope Regional Corporation, o ASRC, lascerà l’AFN, la federazione dei nativi d’Alaska. Per capire la gravità del fatto occorre andare per ordine e definire il contesto.
Le rivendicazioni fondiarie, unite alla scoperta del petrolio locale nel 1968, ottennero come risultato l’Alaska Native Claims Settlement Act (ANCSA), firmato dal presidente Richard Nixon il 18 dicembre 1971: con la creazione delle Alaska Native Corporations si stabilirono i diritti degli autoctoni verso la terra trasferendo i titoli a dodici società regionali e oltre 200 società di villaggi locali e, in seguito, fu creata una tredicesima corporazione regionale per i nativi non più residenti.
L’Arctic Slope Regional Corporation (da ora in poi ASRC) è la principale: 4.000 dipendenti (10.000 in tutti gli States), 12.000 azionisti. Iñupiat Eskimo, uno dei maggiori proprietari terrieri privati in Alaska, possiede ben 5 milioni di acri di terra sul versante nord, contenenti un alto potenziale di petrolio, gas e carbone (pari a 20.000 kmq, l’1.2% della superficie dello Stato), attiva nei servizi di supporto energetico, raffinazione e commercializzazione del petrolio, servizi di appalti pubblici, industriali, edilizia e sviluppo delle risorse. Ebbene, in un comunicato stampa diffuso il 13 Dicembre, il direttore delle comunicazioni Ty Hardt ha scritto che il consiglio di amministrazione dell’organizzazione ha votato all’unanimità per porre fine alla sua adesione all’AFN il 31 dicembre 2019, senza specificare divergenze con l’AFN.
Dovendo rinvenire le cause della decisione, si può risalire alla Convention di Ottobre dell’AFN e, dai comunicati stampa dell’ASRC dell’ultimo anno, al disappunto verso recenti iniziative politiche, tra progetti di aggravio della tassazione sui prodotti petroliferi e potenziali ingerenze ambientaliste nelle attività della Compagnia. Nella 53a convention della Federazione dei nativi dell’Alaska, conclusasi il 19 Ottobre a Fairbanks, i delegati hanno approvato una misura che dichiara lo stato di emergenza per i cambiamenti climatici, dopo un controverso dibattito. Crawford Patkotak, presidente del consiglio della ASRC, ebbe ad affermare che la misura lascia aperta la possibilità che interessi esterni come gruppi per i diritti ambientali e dei diritti degli animali possano stabilire i termini per lo sviluppo delle risorse sulle terre indigene.
Nel comunicato stampa ASRC del 7 Novembre, inerente un’imminente votazione statale di revisione fiscale, si paventa un aumento del 200% dell’imposizione sui molti articoli oil; il solito Patkotak paventa la «paralisi degli investimenti in nuove tecnologie e metodi per estrarre in sicurezza petrolio» e che «ciò significa meno posti di lavoro e maggiore incertezza». D’altra parte, già il 21 Febbraio veniva annunciata una rimostranza in comune con il North Slope Borough proprio in risposta al «piano del Governatore di portar via alle municipalità la capacità di tassare l’industria del gas del petrolio», come si recita nel titolo.
Nel mezzo il comunicato del 17 Maggio in cui ci si lamentava del progetto di Legge avanzato dalla Camera del Congresso, poi votato in via definitiva il 12 Settembre, di protezione totale dallo sfruttamento da idrocarburi già in essere dell’area naturale Arctic National Wildlife Refuge (ANWR). Il disegno di legge approvato dai Democratici abroga una disposizione controversa inclusa nella legge fiscale del Presidente Trump del 2017, che aveva aperto la zona alla trivellazione di petrolio e gas, provocando contraccolpi da parte degli ambientalisti che hanno usato a lungo la protezione dell’area come grido di battaglia.
Insomma, la decisione di Dicembre parte da segnali di insofferenza disseminati in tutto l’anno. C’è da attendersi che le presidenziali del 2020 acuiranno la querelle tra sostenitori dello sviluppo locale, anche se inquinante, e paladini delle tematiche ambientali. Queste del resto coniugate con la difesa delle abitudini dei nativi in un territorio ancora incontaminato, rispetto all’impronta economica umana che ha segnato le fasce temperate. E non c’è dubbio che la contrapposizione coinvolgerà la polarizzazione elettorale tra Repubblicani (o, meglio, Trump) e Democratici.
Marco Leone
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