Oltre 46 milioni di dollari per il centro in Alaska che dovrà potenziare l’attenzione interna americana verso l’Artico, con i suoi rischi e con le sue opportunità.
In una regione polare sempre più in discussione, il rischio che il revival artico si trasformi in una disorganizzata corsa alle risorse è sempre dietro l’angolo. Anche per gli Stati Uniti, gli ultimi anni hanno visto una proliferazione di strumenti politici, diplomatici ed economici per l’Artico.
Si va dall’istituzione di un ambasciatore per l’Artico al (lento) potenziamento della flotta delle rompighiaccio, passando attraverso gli investimenti nel settore del LNG (gas naturale liquefatto, ndr). L’efficacia di queste iniziative è ancora sotto la lente dell’opinione pubblica e degli esperti, ma il recente investimento nell’Arctic Domain Awareness Center (ADAC) è certamente un importante segnale a favore della costruzione di una politica artica più consapevole.
Dopo un bando lanciato nel marzo dello scorso anno, l’Università di Anchorage si è aggiudicata da parte dello US Department of Homeland Security (DHS) Science and Technology Directorate (S&T) la cifra di 46 milioni di dollari, da spalmare su un periodo di dieci anni per l’istituzione del centro di eccellenza ADAC-ARCTIC.
L’università è stata confermata come il leader di una comunità di stakeholders accademici, industriali, governativi e scientifici coinvolti nello sviluppo delle conoscenze richieste per una maggiore comprensione dello scenario artico dove saranno chiamati ad agire, sia adesso che nei prossimi anni, aziende, individui e forze armate. Tra istituzioni, imprese, comunità locali e indigene, la rete conta più di 50 attori e già dal 2014 collabora con il DHS sulle nuove sfide dell’Artico, tra cui cybersecurity, gestione delle emergenze e sicurezza marittima.
Con la nuova iniezione di fondi, il compito dell’ADAC sarà di potenziare lo studio, l’analisi e lo sviluppo di nuove soluzioni per sfide concrete che si riveleranno cruciali nella regione negli anni a venire, fornendo una “cassetta degli attrezzi” comune per attori artici e non artici, pubblici e privati.
Avviando nuovi progetti e potenziando le partnership già esistenti, obiettivo non trascurabile dell’Università di Anchorage sarà anche di formare una nuova generazione di giovani ricercatori, studenti ed esperti a proprio agio nell’ambiente fisico ed intellettuale dell’Artico (anche attraverso corsi universitari ed estivi), rafforzando il necessario scambio di conoscenze fondamentale per operare in uno scenario delicato e ancora poco conosciuto da Washington, ma non solo.
Quando si parla di cooperazione e competizione nella regione polare, a volte sfugge la portata concreta delle conoscenze e del know-how fondamentali per muoversi in condizioni artiche. Sia dal punto di vista civile sia da quello militare, il processo di adattamento delle missioni in Artico passa attraverso una dettagliata ricostruzione del background in cui si opera.
Una delle vie seguite in questi anni da Washington per una maggiore comprensione di tematiche complesse ha preso la forma dei Centri di Eccellenza del DHS, un modello che si avvale della storica collaborazione tra uffici (e fondi) federali e progetti di ricerca accademici delle università americane.
Centri di Eccellenza del DHS sono network guidati da università americane, incaricati di analizzare e anticipare sfide e minacce alla Hhomeland Security” americana attraverso approcci multidisciplinari. Rientrano in questi progetti, ad esempio, hot topics della sicurezza come la resilienza costiera (University of North Carolina), il controterrorismo (University of Nebraska) o la sicurezza delle infrastrutture critiche (University of Illinois).
Di cosa si tratta nel concreto, nel caso del Centro di Eccellenza per l’Artico? L’ ADAC continuerà ad occuparsi della gestione di disastri antropici e naturali, dello scioglimento dei ghiacci e dell’estensione e del potenziamento delle reti di comunicazione e delle infrastrutture in riferimento a specifiche aree (come città o delta dei fiumi) dell’Artico americano.
Il DHS otterrà in cambio una mappatura delle reali (e previste) condizioni artiche entro cui operare, utili, tra gli altri, per le rompighiaccio – vecchie o future – e il personale della Guardia Costiera. In gergo, si tratta di conquistare un all-domain awareness.
Tra i progetti degli ultimi anni, l’ADAC si è occupato di monitorare lo stato dei ghiacci e di sistemi di comunicazione in grado di comunicare in tempo reale le condizioni di navigazione a livello operativo, tattico e civile. Ha studiato gli effetti diretti di agenti inquinanti; ha monitorato la sicurezza delle infrastrutture nelle aree rurali attraverso soluzioni innovative, come i droni; ha sviluppato modelli di previsione di tempeste e sensori per il monitoraggio delle condizioni ambientali di aree remote.
Tra i progetti che probabilmente nasceranno dopo l’investimento del DHS, ci sono i sistemi di chiamate di emergenza in mare, la ricerca di fonti di energia rinnovabili e nucleari in Artico, lo sviluppo di modelli ambientali e di strumenti di decision-making.
Costruire competenze specifiche del teatro artico, rafforzare le partnership con attori di diversi campi e normalizzare la collaborazione e lo sviluppo di innovazioni in un’ottica centro-periferia è un passo fondamentale per poter realmente operare, valorizzare e salvaguardare un Artico in cambiamento. Mantenere livelli di sicurezza interni adeguati a una regione via via più vicina alla sfera antropica, dove si procede con un lento processo di state-building, passa innanzitutto attraverso una maggiore conoscenza della regione artica, per la quale missioni come quella dell’ADAC e di altri istituti simili sono uno strumento fondamentale.
Investire in questa tipologia di progetti permette di assicurare condizioni che, in climi temperati, sono strumenti basilari di convivenza sociale e statale: assicurare il salvataggio in mare, intercettare in tempi rapidi e con precisione minacce militari in arrivo (missili, droni, aerei), prevenire fenomeni metereologici estremi, evacuare più efficientemente le comunità, ma anche ricostruire in tempo reale le condizioni ambientali per facilitare l’operato delle forze dell’ordine, addestrare personale aereo e marittimo con simulatori di condizioni realistiche.
La homeland security americana è arrivata così, nel corso degli anni, a toccare anche le sponde dell’Artico, inaugurando un processo che potrà essere pienamente valutato solo negli anni a venire. Perché spesso ci sfugge che non si può davvero parlare di “nuovo Artico” senza essere capaci di muoversi e operare al suo interno.
Agata Lavorio
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