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Dai Variaghi a Putin: il prezzo dell’industrializzazione dell’Artico

Dall’ambizione sovietica di dominare l’Artico al crudele prezzo umano pagato nei campi della GULAG. L’industrializzazione forzata e le grandi opere costruite grazie al lavoro dei prigionieri politici e comuni.

Lavoro forzato

L’Artico sovietico cominciò quindi a essere popolato da esiliati e presunti colpevoli di attività controrivoluzionarie, prigionieri dei campi ai lavori forzati. Alla limitatissima presenza di macchinari da lavoro nell’Artico si ovviava attraverso il lavoro coatto dei prigionieri, considerati vere e proprie macchine al servizio del progresso e della rapida industrializzazione dell’URSS.

Una delle prime e più imponenti infrastrutture che costruì l’Unione Sovietica nell’Artico fu il Belomorkanal, o canale Mar Bianco-Mar Baltico. Si trattava di una grande opera idrotecnica, un canale navigabile che collegasse, appunto, il Mar Bianco al Mar Baltico sfruttando le vie idriche già esistenti. Per soddisfare la volontà di Stalin, si dovette scavare un passaggio di una lunghezza di circa 227 chilometri che unisse la cittadina di Belomorsk, sul Mar Bianco, al lago Onega. La realizzazione del Belomorkanal fu possibile solo grazie all’esclusivo impiego del lavoro coatto dei prigionieri provenienti dal famigerato SLON, un campo di prigionia situato sull’Arcipelago delle Soloveckij, nell’Artico sovietico, che ospitava decine di migliaia di prigionieri ai quali furono aggiunti, con l’accusa di essere cospiratori o controrivoluzionari, gli esperti ingegneri che avrebbero dovuto supervisionare i lavori di costruzione della mastodontica opera.

industrializzazione artico belomorkanal
Prigionieri impiegati nella costruzione del Belomorkanal.

Il desiderio di Stalin di costruire il canale era certamente motivato dalla sua importanza militare e commerciale. Da Leningrado, il nome assunto da San Pietroburgo dalla Rivoluzione alla caduta dell’URSS, le imbarcazioni potevano raggiungere il Mare Glaciale Artico e viceversa senza dovere circumnavigare la Fenno-Scandinavia, risparmiando migliaia di chilometri di navigazione. Tuttavia, un’altra delle ragioni per le quali Stalin tanto insisteva sullo scavo del canale era quella di ottenere prestigio e di mostrare la potenza del socialismo sulla natura, anche in una regione tanto inospitale quanto l’Artico.

Il 18 febbraio del 1931 il Consiglio del lavoro e della difesa, l’organismo preposto alla gestione delle grandi opere infrastrutturali nella Repubblica socialista federativa sovietica russa, approvava la decisione di costruire il canale: la responsabilità del cantiere e dello svolgimento del lavoro fu assegnata proprio all’OGPU, una delle polizie segrete di Stalin.

Gli oltre 120.000 prigionieri che lavorarono alla costruzione del canale nei due anni successivi favorirono la fioritura di nuovi campi di lavoro e l’ampliamento di quelli esistenti e diedero impulso alla costruzione di nuovi progetti infrastrutturali quali strade e ferrovie, vista la grande abbondanza di manodopera lì concentrata. I campi, dunque, molto presto avevano cessato la loro funzione di centri correzionali e si erano trasformati in mere fonti di lavoro a basso costo.

I campi si moltiplicano

Lo SLON era stato quindi solo il primo dei campi di lavoro che a partire dagli anni Trenta si cominciarono a moltiplicare in Siberia e nell’Estremo Oriente. La popolazione dei campi o delle reti di campi, fino alla loro chiusura ufficiale nel 1960, era di decine o centinaia di migliaia di persone nei periodi di picco. Tra i campi più famosi si possono citare Bamlag, edificato per ospitare i lavoratori addetti alla costruzione della linea ferroviaria Bajkal-Amur, Belbaltlag, dove furono ospitati gli operai e gli ingegneri che costruirono il Canale Mar Bianco-Mar Baltico, Noril’lag, dove sarebbe poi sorta la città di Noril’sk, abitato dai lavoratori delle miniere di rame, nichel e palladio, Sevvostlag, dove vivevano i prigionieri che scavavano l’oro nelle miniere della Kolyma e Vorkutlag, abitato dai lavoratori delle miniere di carbone di Vorkuta.

dormitorio gulag
Interno del dormitorio di un campo del Gulag

Nel terribile campo di lavoro di Noril’lag, in particolare, le condizioni lavorative erano quasi disumane. I prigionieri, esposti a una costante sensazione di fame e di freddo, erano costretti a ritmi di lavoro massacranti: tra le attività imposte ai reclusi, tipiche erano le opere di scavo delle fondamenta di quelle che sarebbero diventate le infrastrutture industriali e minerarie di Noril’sk.

Il durissimo permafrost doveva essere scalfito con il solo ausilio di pale e picconi e coloro che non raggiungevano la quota produttiva quotidianamente stabilita perdevano il diritto di inviare e ricevere la corrispondenza; a questi era addirittura assegnata una razione alimentare inferiore rispetto agli altri. I prigionieri vivevano in baracche di legno malamente riscaldate e dormivano su letti privi di cuscini, coperte e materassi; molti degli ospiti del campo di lavoro erano inoltre condannati per ragioni politiche, intellettuali giovani e anziani originari delle città e quindi non avvezzi alle durissime condizioni di lavoro alle quali i contadini erano invece più abituati.

Lo sviluppo iniziale della regione artica sovietica e lo sfruttamento delle sue risorse non sarebbero stati possibili senza la smisurata rete dei campi e i milioni di prigionieri che vi transitarono. Gli immensi lavori di costruzione dei canali navigabili, delle strade, dei ponti, dei porti e dei cantieri navali non avrebbero mai potuto essere portati a termine senza il crudele e inumano sfruttamento di milioni di criminali comuni e prigionieri politici. Dalla costruzione degli immensi stabilimenti manifatturieri e dal lavoro massacrante di estrazione delle materie prime quali legname, carbone, diamanti, nichel e oro dei prigionieri dei campi dipese intimamente il formidabile balzo industriale dell’URSS.

Tommaso Bontempi

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Tommaso Bontempi
Dottore in Relazioni Internazionali Comparate, laureato presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Sono appassionato di tutto ciò che riguarda l’Europa orientale, dalla storia alla cultura alle lingue. La mia vita si svolge tra l’Italia e la Russia.

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