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Responsabilità sociale d’impresa nell’Artico: successi e controversie

Le aziende operanti nell’Artico e che da questo traggono notevoli vantaggi, devono quindi assumersi precise responsabilità nei confronti della società civile.

Un dovere verso la società

La responsabilità sociale d’impresa ha a che fare con la soddisfazione delle aspettative che la società civile nutre nei confronti delle imprese. Secondo questa idea, le aziende operanti nell’Artico e che da questo traggono notevoli vantaggi, devono quindi assumersi precise responsabilità.

Queste comprendono il prendersi cura non solo dei propri dipendenti ma dell’intera comunità, incluse le popolazioni indigene che abitano il territorio, e tutelare l’ambiente dai possibili danni causati dalle proprie attività. Per legittimare le proprie azioni e accontentare sia le comunità locali sia le autorità, le aziende cercano quindi di sforzarsi di soddisfare le richieste della popolazione.

Il caso di Tukhard in Russia

Le miniere e gli impianti di Nornickel rendono Noril’sk una monogorod, ossia una città che ruota interamente intorno a una sola industria, dalla quale dipende la propria sopravvivenza. Per questa ragione, Nornickel acquisisce un’importanza fondamentale per gli abitanti della città e viceversa, in un legame quasi simbiotico: i residenti di Noril’sk dipendono da Nornickel per lavoro e reddito, mentre Nornickel necessita della manodopera locale per operare. Data la posizione isolata di Noril’sk, città chiusa nell’Artico russo, il concetto di responsabilità sociale d’impresa è qui particolarmente rilevante. Più che un semplice datore di lavoro, Nornickel assume alcuni compiti quasi statali per sostenere la comunità che esiste grazie a e per l’azienda stessa.

norilsk
Norilsk è il principale centro di una regione dove vengono estratti nichel, rame, cobalto, platino, palladio e carbone.

Seguendo il principio della responsabilità sociale d’impresa, Nornickel ha deciso di dimostrare la sua “buona volontà” edificando un nuovo insediamento sulla penisola del Tajmyr. Il “vecchio” Tuchard, un’altra piccola monogorod, era stato costruito per ospitare gli operai di Noril’skgazprom, una succursale di Nornickel. Nelle vicinanze del villaggio si trovano infatti giacimenti di gas naturale, tanto che “Tuchard” – nella lingua degli indigeni che popolano la regione – ha il significato letterale di “luogo dove si estrae il fuoco”. Con la caduta dell’URSS, però, il villaggio, che sotto il socialismo poteva vantare diversi negozi, una clinica e un porto di tutto rispetto per accogliere i pescherecci nella stagione estiva, è oggi quasi in rovina.

Secondo una legge di recente approvazione, Tuchard è venuto per di più a trovarsi all’interno di una cosiddetta “zona di protezione sanitaria”. Non è quindi più consentito l’insediamento permanente nelle pericolose vicinanze degli impianti di lavorazione del gas, e gli indigeni Nenezi che negli ultimi decenni si erano stabiliti a Tuchard saranno costretti ad abbandonarlo presto.

Nenezi
Nenezi nella tundra

Nornickel, di sua iniziativa, ha quindi avviato un progetto per la fondazione di un nuovo, moderno Tuchard, in un luogo sicuro. Ed è interessante la mossa dell’azienda di giustificare questa azione citando addirittura l’Organizzazione delle Nazioni Unite e le sue norme relative al rispetto dei diritti delle popolazioni indigene. Sono ora in atto studi che, attraverso la tipica metodologia dell’indagine sociale (per esempio attraverso interviste individuali e riunioni collettive con gli abitanti del villaggio) mirano a costruire un abitato a misura di pastore di renne.

Piuttosto che il governo federale, è stata Nornickel – un’azienda privata – a decidere di risolvere un problema tanto specifico e delicato riuscendo a ottenere concessioni per gli indigeni e promettendo compensazioni alle loro famiglie. A proprie spese, l’azienda costruirà quindi un villaggio completamente nuovo, accogliendo i suggerimenti dei residenti e tentando di rispettarne le esigenze.

La LKAB e Nuova Kiruna

Un altro progetto colossale prevede lo spostamento di un’intera cittadina svedese a tre chilometri dalla sua posizione attuale. Kiruna, che conta circa 20.000 abitanti, si trova infatti vicino alla più grande miniera di ferro del mondo. Gli enormi scavi stanno causando movimenti del terreno che potrebbero portare montagne di detriti a inghiottire la città. Si è quindi deciso di trasferire Kiruna, con tutti i suoi edifici e abitanti, in una zona più sicura. La società Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag (LKAB), la compagnia mineraria di Stato svedese, è responsabile del progetto.

Mentre il trasferimento di Tuchard potrebbe essere visto come un esempio positivo (anche se, con il tempo, vedremo come si evolverà), il caso di Kiruna è più “neutrale”. Analizziamolo meglio. Abbiamo parlato di responsabilità sociale d’impresa. LKAB, in quanto azienda, persegue naturalmente il profitto. Si preoccupa del benessere della popolazione, ma non per altruismo. Essendo un’azienda statale, ci si aspetta infatti che si preoccupi del benessere della popolazione, a prescindere da tutto il resto.

Kiruna
La nuova Kiruna in costruzione nel 2017

Questo intervento, pur mirando ad aiutare la città, sta però causando gravi disagi alla comunità sami che da sempre abita Kiruna. Lo stile di vita tradizionale dei Sami, dediti all’allevamento delle renne, era già stato marginalizzato dall’industria mineraria sin dall’inizio del ‘900. Ora, la popolazione indigena sarà nuovamente costretta ad abbandonare la propria terra. Ciò avviene in nome della sicurezza e della protezione civile, ma anche del progresso economico, dato che nell’area di Kiruna sono stati scoperti nuovi preziosi giacimenti di terre rare.

Il progetto Willow, l’ambiente e i diritti degli indigeni

Per concludere la nostra analisi, esaminiamo infine un aspetto negativo: il Progetto Willow, un immenso giacimento petrolifero di cui è previsto lo sfruttamento nell’estremo nord dell’Alaska. Questo progetto ha una storia controversa. Inizialmente approvato dall’Amministrazione Trump nel 2020, è stato poi bloccato l’anno seguente da un giudice federale. Pare che ConocoPhillips, il colosso petrolifero statunitense dietro al progetto, non avesse valutato adeguatamente il suo potenziale impatto ambientale.

Tuttavia, nonostante questa precedente battuta d’arresto, il Presidente Biden ha recentemente dato il via libera definitivo al progetto. Una volta operativo, il Progetto Willow diventerà il più grande giacimento petrolifero degli Stati Uniti: si prevede una capacità produttiva impressionante di quasi 200.000 barili di petrolio al giorno.

L’approvazione del Progetto Willow ha scatenato ampie proteste sia negli USA sia a livello internazionale. Questa decisione sembra infatti contraddire apertamente i dichiarati impegni ambientali dell’Amministrazione Biden. Senza entrare nei dettagli numerici, è importante sottolineare che si stima che, nell’arco dei suoi 30 anni di attività, il Progetto Willow produrrà più emissioni di quelle che tutti i progetti rinnovabili approvati a livello federale riuscirebbero a tagliare, vanificando di fatto gli sforzi degli Stati Uniti nel campo dell’energia pulita.

alaska pipeline

Ancora una volta, assistiamo alla realizzazione di un grande progetto su un territorio abitato da popolazioni indigene dell’Artico, in questo caso i pastori di caribù Iñupiaq. Si prevede un impatto ambientale devastante: inquinamento di aria, acqua e suolo, accelerazione della fusione del permafrost e aumento dell’erosione costiera. Questi cambiamenti probabilmente causeranno la malnutrizione dei caribù e la moria di pesci per le acque contaminate, minacciando direttamente i mezzi di sussistenza delle comunità locali.

I rappresentanti indigeni sostengono che ConocoPhillips abbia condotto poche o nessuna ricerca sugli effetti delle sue attività estrattive sull’ambiente e, cosa forse più importante, sulla popolazione locale. Questa apparente mancanza di attenzione per l’impatto ambientale e sociale contrasta nettamente con i principi della responsabilità sociale d’impresa. Il pieno sostegno del governo federale a questo progetto solleva inoltre seri interrogativi su come la politica possa bilanciare i guadagni economici e la tutela dell’ambiente.

Tommaso Bontempi

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Tommaso Bontempi
Dottore in Relazioni Internazionali Comparate, laureato presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Sono appassionato di tutto ciò che riguarda l’Europa orientale, dalla storia alla cultura alle lingue. La mia vita si svolge tra l’Italia e la Russia.

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