La tensione con la Russia ha riportato l’attenzione della NATO sul suo fianco nord, ma l’Alleanza Atlantica non ha ancora una strategia definita.
L’eccezionalismo dell’Artico è finito nel Donbass
Con lo scoppio della guerra in Ucraina e il logoramento dei rapporti fra Russia e blocco NATO, l’Artico è tornato a essere una priorità dell’Alleanza Atlantica, ancor più dopo l’adesione di Svezia e Finlandia. L’Artico, regione che dalla fine della guerra fredda aveva conosciuto un ventennio di “eccezionalismo” caratterizzato da bassa tensione e cooperazione, è tornato a essere un terreno di competizione, se non di scontro, fra NATO e Federazione Russa.
Negli ultimi due anni si è registrato un aumento significativo di esercitazioni, pattugliamenti e investimenti in nuove tecnologie e capacità di difesa, da parte di entrambi gli schieramenti. E la crescente tensione ha ovviamente attirato l’attenzione di analisti, commentatori e accademici, che hanno sancito quasi all’unanimità la fine di questo periodo di eccezionale cooperazione nell’Artico e l’inizio di una nuova “Guerra Fredda” nell’alto Nord.
Se nel mondo occidentale sembra che la sicurezza di queste aree sia tornata prioritaria solo recentemente, l’importanza dell’Artico per la Russia non è mai stata realmente sopita. Ma è negli ultimi dieci anni che la Federazione ha investito molto nell’aumentare la propria presenza militare nell’Artico e rilanciato i propri investimenti nel Grande Nord.
La Russia è (anche) l’Artico.
L’Artico russo è un territorio immenso che si estende per oltre 24.150 chilometri di costa, dove vivono oltre 2,5 milioni di persone. La Russia è una forza formidabile nel Nord, con giurisdizione sul 53% dell’intera costa artica.
La Federazione vede l’Artico come un continuum strategico che si estende dal Nord Atlantico al Nord Pacifico. Mosca supera significativamente la NATO in termini di basi militari nella regione. Negli ultimi anni la Federazione ha riaperto vecchie basi sovietiche, schierato avanzati sistemi di difesa missilistica, incrementato i pattugliamenti aerei e marittimi e intensificato le esercitazioni militari. Ancor più, ha investito nello sviluppo tecnologico per sviluppare capacità militari multidominio, ovvero che integrano tutte e cinque le dimensioni della guerra: marittimo, terrestre, aereo, spaziale e cyberspazio.
La Russia sta ricostruendo le proprie capacità militari e modernizzando le proprie infrastrutture militari regionali utilizzando un approccio “a due facce”, per citare un articolo di Chatham House – noto think tank statunitense – dal titolo significativo “La militarizzazione della politica polare russa”: le infrastrutture artiche vengono utilizzate per scopi sia civili che militari, e il confine tra intenti offensivi e difensivi è sempre più labile.
Risorse naturali e dove portarle: la valenza strategica dell’Artico russo
L’Artico russo è la regione settentrionale più popolata e industrializzata del mondo, e vanta un notevole vantaggio in termini di rafforzamento militare e di navigazione nell’Artico rispetto alla maggior parte degli altri stati artici.
La lenta ascesa della Northern Sea Route testimonia quanto la navigazione nell’Alto Nord sia sempre più percorribile anche d’inverno, aprendo ulteriori possibilità di sfruttamento anche delle immense risorse di idrocarburi dell’Artico russo. Regione che comprende oltre 35.700 miliardi di metri cubi di gas naturale e oltre 2.300 milioni di tonnellate di petrolio, la maggior parte concentrata nelle penisole di Yamal e Gydan.
Assodato che il ghiaccio marino, presto o tardi, si scioglierà progressivamente sempre di più, la strategia di sviluppo artico della Russia si sta concentrando sempre più sull’espansione dell’estrazione di combustibili fossili nella regione polare e sullo sviluppo della Northern Sea Route come mezzo principale per distribuire sul mercato gli idrocarburi estratti.
Mosca insomma considera l’Artico come propria parte integrante, baricentro settentrionale imprescindibile per il proprio sviluppo, e ha già cominciato a mettere in discussione quel fragile status quo che ha garantito l’equilibrio nell’Alto Nord per molti anni: la questione delle Svalbard e dei confini marittimi con la Norvegia, per esempio, vede un continuo accrescersi delle tensioni.
La NATO mostra i muscoli nell’Artico
Tensione alta, quindi: la sicurezza militare è tornata al centro delle agende politiche dell’Europa con un significativo aumento delle esercitazioni militari. Sebbene la NATO non disponga di una strategia ufficiale per l’Artico né di un centro di comando specifico, è comunque molto presente nella regione, sia attraverso il suo storico guardiano del fianco settentrionale, la Norvegia, sia tramite partecipanti attivi come Canada, Islanda e Danimarca, e i nuovi membri Finlandia e Svezia, oltre ovviamente agli Stati Uniti.
Non a caso negli ultimi mesi vi sono state svariate esercitazioni militari oltre il circolo polare. Steadfast Defender, “la più grande esercitazione dai tempi della Guerra Fredda”, appunto. Oltre 90.000 soldati schierati da tutti i 32 membri dell’Alleanza. Una parte consistente di questa esercitazione, durata da gennaio a maggio di quest’anno, è denominata Nordic Response e ha visto impiegare le truppe e i mezzi del blocco atlantista, Italia compresa, nell’artico norvegese, a pochi chilometri dal confine con la Russia.
Movimenti importanti, volti a dimostrare le proprie capacità militari in un quadro di deterrenza. Ma quanta sostanza c’è dietro queste imponenti esercitazioni? E se è vero che mostrare i muscoli è importante, lo è altrettanto “usare il cervello”, ovvero dotarsi di una strategia che, appunto, non c’è.
Ma l’Alleanza non è preparata
Significativa la recente pubblicazione sulla prestigiosissima Foreign Policy di un articolo dal titolo “La NATO è impreparata alle minacce artiche della Russia”, dove la studiosa danese Liselotte Odgaard ha lanciato un allarme che è opportuno citare in alcune sue parti:
“Nessuno stato membro della NATO dispone di navi rompighiaccio con capacità sia antiaeree che antisommergibili. Stati Uniti, Canada, Danimarca, Finlandia e Svezia hanno dato priorità alle capacità progettate per altri teatri, come le regioni dell’Indo-Pacifico e del Mar Baltico. L’Islanda, che non ha un esercito permanente, utilizza solo navi della guardia costiera. La Norvegia dispone di navi della guardia costiera rompighiaccio, ma non sono progettate per operazioni militari.
I sottomarini nucleari russi, in grado di lanciare un attacco al Nord America, possono viaggiare dal Mare di Barents attraverso il Bear Gap tra la Scandinavia e le Svalbard, in Norvegia, e sotto il ghiaccio lungo la costa orientale della Groenlandia senza essere scoperti. Ciò lascia grandi lacune nella posizione di difesa della NATO. La guerra della Russia in Ucraina le dà anche incentivi per collaborare con la Cina nell’Artico, comprese esercitazioni navali congiunte e cooperazione con la guardia costiera.
[…] La linea di rifornimento che attraversa il GIUK gap – l’ingresso strategicamente importante nel Nord Atlantico tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito – è una via vitale per le forze statunitensi e canadesi per schierare e inviare rifornimenti al nord Europa in caso di conflitto con la Russia. Mosca può attualmente interrompere questa linea di rifornimento senza l’intervento della NATO perché gli stati nordici nell’Artico non hanno la capacità di individuare le forze russe che operano nel Bear Gap e al largo delle coste della Groenlandia orientale.
Questa discrepanza sottolinea come paesi come la Norvegia e la Danimarca abbiano budget limitati per la difesa ma grandi responsabilità, tra cui il presidio delle regioni artiche e baltiche e, nel caso della Norvegia, un confine terrestre con la Russia. La NATO non dovrebbe lasciare che la deterrenza nell’Artico venga messa da parte concentrando la sua posizione di forza lungo il suo fianco orientale. Invece, l’alleanza atlantica deve agire con urgenza.”
Minacce ibride da parte dei russi
Del resto è in questo quadrante, così prossimo alla superpotenza rivale, che la tensione latente si manifesta sempre più evidente. Come riportato in un recente paper a cura di Hybrid CoE, centro Nato basato a Helsinki: “Si è verificato un aumento significativo delle attività di minaccia ibrida in Norvegia, e in particolare nella Norvegia settentrionale, la maggior parte delle quali sono attribuiti alla Russia o sospettati di provenire dalla Russia. La Norvegia Settentrionale e i Baltici sono stati sottoposti a varie attività di minaccia ibrida, tra cui, spionaggio, diffusione di fake news e propaganda anti-occidentale, così come di sabotaggio alle infrastrutture di trasmissione come il gps.”
Mentre è improbabile che la Russia cerchi o si impegni in un confronto militare diretto nell’Alto Nord europeo, sia nel breve che nel medio-lungo termine, vi sono comunque evidenze che indicano l’uso di attività di sabotaggio. Tali attività, pur non configurandosi come guerra o attacco militare, potrebbero servire ad accrescere dubbi e sfiducia all’interno della società, con l’intento di aumentare la destabilizzazione in Europa. Col tempo, possono aggravare la tensione fra le potenze e influenzare pesantemente le dinamiche dell’Artico europeo.
La NATO è sempre stata un’alleanza artica
Oltre al riportare i fatti oggettivi che compongono il complicato mosaico delle relazioni fra NATO e Russia nell’Artico, è utile osservare come tali fatti vengono commentati dai media e dagli osservatori. Non è un caso che negli ultimi mesi siano stati pubblicati parecchi articoli sull’argomento, anche su media non specializzati sulla “bolla artica” (vedi Foreign Policy, rivista che dal 1970 ospita e ha ospitato le penne più autorevoli sulla politica estera negli Stati Uniti).
Riteniamo quindi opportuno citare anche un recente paper dell’Arctic Institute, il principale think thank statunitense sull’Artico, dal titolo “La NATO è sempre stata un’alleanza Artica”. Articolo ricchissimo, che ripercorre la storia dell’Artico dalla Guerra Fredda ai giorni nostri, e che conclude con un’esortazione a dotarsi di una strategia artica per affrontare le minacce russe sempre più impellenti. Ne riportiamo la conclusione, convinti che sia importante capire quali idee stiano circolando, in questo periodo storico, fra i commentatori principali e i policy makers degli Stati Uniti, la nazione che indubitabilmente ha deciso e deciderà gli orizzonti strategici dell’Alleanza Atlantica.
“Per troppo tempo, l’Artico è stato considerato una regione remota e periferica, estranea ai processi globali. Oggi più che mai, è evidente che ciò che accade nell’Artico non rimane confinato nell’Artico, sia dal punto di vista politico che ambientale, e che gli eventi regionali e i processi globali hanno una relazione irrevocabilmente interconnessa, che probabilmente si amplificherà nei prossimi anni e decenni. L’Artico sta subendo cambiamenti profondi, sia nel suo ordine politico e nella sua posizione geopolitica, sia nella sua stessa geografia.
Questa situazione in rapido sviluppo rende il futuro incerto e significa che la NATO dovrà prendere decisioni importanti per il suo futuro nella regione e per la sicurezza dell’Alleanza. È chiaro che l’Artico sta nuovamente diventando il fulcro della rivalità geopolitica atlantica, e questo sviluppo avrà conseguenze di vasta portata sull’ordine di sicurezza europeo e globale, specialmente man mano che la NATO diventerà sempre più coinvolta.”
Alina Bykova su Arctic Institute
A voi le considerazioni.
Enrico Peschiera