Dall’esempio delle navi rompighiaccio artiche la possibile energia pulita per quelle mercantili. Una strada davvero percorribile? L’intervista a Gianpaolo Dalla Vedova, Lloyd’s Register.
La clessidra del tempo del fossile
Se c’è un dato che non cambierà, è il fatto che il combustibile fossile ha il tempo contato. Tra nuove norme internazionali e tecnologia, il mondo economico ha ormai sposato – obtorto collo – la causa di una transizione energetica ed ecologica che travalica ogni barriera nazionale.
Inevitabile, dunque, che se ne parli ampiamente anche sulle coste artiche, in un luogo così delicato e sensibile da poter essere valutato come un santuario ambientale. Ma che, invece, vede un moltiplicarsi di nuovi porti commerciali, insediamenti industriali e sviluppo.
Lo scioglimento progressivo dei ghiacci marini artici, e l’innalzamento delle temperature, spingono infatti tutti gli stati costieri a guardare oltre, a sviluppare, anche se in forme di sostenibilità, temi storicamente più mediterranei: turismo, commercio marittimo e siti militari, su tutti.
Le norme IMO: cosa cambia
“L’IMO ha dato e sta dando nuove, stringenti, norme internazionali per l’abbattimento delle emissioni di carbonio e di inquinanti”, conferma Gianpaolo Dalla Vedova, Strategic Business Partner and Company Senior Representative per l’Italia del Lloyd’s Register, la più celebre compagnia di classificazione marittima del mondo.
“Durante le riunioni del comitato MEPC dell’IMO (Marine Environment Protection Committee) in ottica di stabilire il contenuto della risoluzione MEPC 81, stanno definendo la strategia sulle emissioni di gas serra che comprende una serie di step per arrivare ad avere un sistema a emissioni zero nel 2050.
La MEPC80 ha infatti messo come obiettivi intermedi il 2030 e il 2040, per arrivare a una riduzione minima del 30%, 20% e del 70%, rispettivamente, rispetto ai livelli del 2008. Questo significa investire su nuovi combustibili, nuovi design, nuove navi e tanta tecnologia.
Inoltre, sono oggi in fase di definizione anche nuovi approcci per arrivare ad avere una compensazione in base al calcolo delle emissioni della singola molecola non limitate ai gas effetto serra prodotti durante la combustione ma inclusive di tutte le emissioni prodotte durante il life cycle del combustibile, dalla produzione fino al delivery sulla nave (LCA – life cycle assessment)”.
Il documento del Lloyd’s
In un documento specifico sul tema, Lloyd’s Register sottolinea come “Entro il 2030, iniziare ad integrare delle navi a emissioni zero (ZEV) nella flotta globale è fondamentale per allinearsi agli ambiziosi obiettivi delineati nell’accordo di Parigi. Le parti interessate devono dare priorità allo sviluppo di catene di approvvigionamento di combustibili a zero emissioni di carbonio, comprese le soluzioni a bordo delle navi e le necessarie infrastrutture a terra.
Sebbene le soluzioni a emissioni zero abbiano avuto successo in applicazioni di nicchia, la mancanza di soluzioni consolidate per la navigazione marittima su larga scala ha portato a opinioni e dibattiti contrastanti all’interno del settore marittimo riguardo ai metodi alternativi di decarbonizzazione. Le organizzazioni che cercano una guida affidabile devono ora orientarsi in questo panorama complesso”.
Partendo da qui, sappiamo che fino a pochi anni fa il gas naturale liquefatto era visto come il carburante ideale per permettere la transizione ecologica verso un “idrogeno blu” in grado di dare energia a tutto il naviglio commerciale (e non solo) in circolazione sui mari di tutto il mondo. “Una situazione che è già cambiata molto”, continua Della Vedova. “Da essere carburante di transizione, è diventato “in” transizione. Ad esempio per alcune tipologie di motori a due tempi le emissione del LNG fossile (grey LNG) andranno presto fuori limite in base ai regolamenti in adozione, ed entro il 2040 l’unico LNG in conformità potrebbe essere quello di origine biologica o verde, ottenuto con processi di sintesi ed energia rinnovabile.
Il dettaglio e i numeri
Per capire l’entità del problema legato alla transizione verde dello shipping, i nostri modelli di definizione del futuro Total Cost of Ship Ownerships ci indicano che – a parità di condizioni di utilizzo (uso di ULSFO – nafta a basso contenuto di zolfo) e con le nuove normative internazionali – nel 2030 una flotta di 10 navi portacontenitori da circa 19mila TEU (l’unità di misura standard dei container, ndr) potrebbe pagare penali – come previsto dal sistema Fuel EU Maritime, ad esempio – pari a 3,4 milioni di euro all’anno per nave per compensare l’eccesso di emissioni di gas serra.
Ovviamente un extra costo difficilmente sostenibile dalla catena logistica. Ammoniaca, metanolo, idrogeno biofuel e synthetic-fuel saranno quindi i carburanti del prossimo futuro, ma potrebbe esserci anche un’altra soluzione”.
Il consumo di combustibile del settore dello shipping nel 2022 è stato di circa 8.7 ExaJoules, corrispondenti a circa 217 milioni di metri cubi di gasolio marino. Questa cifra suggerisce enormità della sfida che il settore ha di fronte a se per passare dai combustibili fossili a quelli alternativi a basso impatto. Il rischio di indisponibilità per tutti i stakeholder di soluzioni alternative a basso prezzo, introduce un elemento di rischio che potrebbe dare un’opportunità alla soluzione nucleare.
L’opzione nucleare
Potrebbe, perché di nucleare sono in pochi a voler sentire parlare. “La nostra posizione è totalmente terza e olistica, non sposiamo una causa”, sottolinea Dalla Vedova. “Il punto è che oggi esistono già reattori a bordo di alcune navi commerciali. Le rompighiaccio russe che li utilizzano come forza motrice sono pochi, ma selezionati.
Esistono diverse nuove tecnologie, come gli Small Modular Reactor, che comportano minori rischi per la sicurezza, adottati ad esempio a bordo della centrale nucleare “Akademik Lomonosov”. Una vera centrale nucleare galleggiante, che può essere spostata e ancorata a piacimento dove serva questa energia, e che può dare luce e calore, ad esempio, a un’intera città”. Ma i rischi?
“Il vero punto della questione è che il rischio è relativo: in termini di prevenzioni di incidenti le moderne tecnologie nucleari di cui si sta studiando l’utilizzo navale sono più sicure, automatizzate e caratterizzate da pressioni inferiori. Potrebbero essere più elevati i rischi legati ad atti terroristici o di cyber attacchi.
Inoltre servirebbero certamente accordi internazionali in questo senso, ma dobbiamo anche ragionare sul fatto che se fino a oggi le flotte commerciali di tutto il mondo hanno potuto spostarsi grazie a un unico, o quasi, carburante come la nafta o il diesel, da domani non sarà più così.
E sarà difficile che tutti i porti del mondo possano dare approvvigionamento diverso in base alla tipologia di nave. Dal cold-ironing (l’elettrificazione delle banchine perché le navi possano collegarsi alla rete elettrica, ndr) ai carburanti alternativi già citati, da vele e rotori speciali che possano spingere la nave in alto mare ad altro ancora, l’unica soluzione davvero “pulita” e senza necessità di costruzione di immense supply chain, è proprio il nucleare”. Con una certezza: nelle gelide acque dell’Artico, è già realtà.
Leonardo Parigi
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