Nygård, Equinor: “La Norvegia punta a trasformare i suoi asset, ma l’energia sarà sempre perno centrale”.
L’Artico, oggi
Quinta edizione per Arctic Connections, l’annuale evento curato dalla SIOI nella sede romana di Palazzetto Venezia, dove la due giorni del 28 e 29 febbraio vede alternarsi tanti relatori del mondo italiano interessato all’Artico, e non solo. Esperti, accademici, giornalisti, ma anche scienziati e diplomatici. Che cos’è oggi, l’Artico?
Domanda ricorrente nei panel, anche perché il recente ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia ha trasformato l’Arctic Council in un ristretto club di nazioni alleate. Con in più, la Russia. Che al momento non pare affatto intenzionata a sedersi al tavolo diplomatico per ricucire gli strappi profondi con l’Occidente.
Che fare, allora? Perché il cambiamento climatico avanza, i dati inquietano non poco la comunità scientifica e più di una cancelleria europea. E la sempre crescente instabilità geopolitica non aiuta di certo. L’Alleanza Atlantica schiera oggi decine di migliaia di unità sul fronte orientale, da Nord a Sud, dall’Artico al Mediterraneo, per Steadfast Defender. E nel suo ambito, un’altra esercitazione militare: Nordic Response, decisamente più concentrata su eventuali conflitti nell’estremo settentrione europeo.
L’energia come chiave di volta
A fare gli onori di casa, il nuovo Presidente SIOI, l’Ambasciatore Riccardo Sessa, che insieme al suo omologo norvegese in Italia, Johan Vibe, presenta la sempre forte collaborazione tra Roma e Oslo. Su ricerca scientifica, lotta al cambiamento climatico e formazione. Ma anche nell’ambito dello sviluppo industriale, mirato prevalentemente al tema dell’energia.
“La Norvegia è ben consapevole che petrolio e gas avranno in futuro un momento di discesa, in termini di domanda ma anche di complessità di estrazione. Ma l’energia è e resta un asset fondamentale per il nostro Paese, per mantenere autonomia e sufficiente margine di crescita economica”, racconta a Osservatorio Artico Knut Harald Nygård, project manager della Northern Area Unit di Equinor, il colosso energetico di Oslo.
“Oggi sono almeno 20mila le persone coinvolte nell’economia energetica solo nella parte settentrionale della Norvegia, è un pilastro di crescita anche sociale. Il che non significa restare all’esistente. Stiamo investendo molto nelle energie rinnovabili, nel mondo offsore, e anche nella tecnologia CCS, in grado di abbattere in maniera significativa le emissioni di carbonio”.
CCS e soldati
Danimarca e Norvegia sono due tra i Paesi più impegnati nel campo della tecnologia CCS (Carbon Capture & Storage), ovvero nella possibilità di “filtrare” l’aria, ripulendola dalla CO2 in eccesso. Anidride carbonica che – in quanto gas serra – verrebbe poi stoccata sotto terra o in depositi esausti sotto il mare.
Lo scorso novembre Equinor e la società Direct Ocean Capture (DOC) Captura avevano annunciato una partnership per sviluppare soluzioni su scala industriale per rimuovere l’anidride carbonica dall’oceano. Nei giorni scorsi l’italiana Ecospray, specializzata in soluzioni integrate per la decarbonizzazione, ha annunciato che parteciperà come fornitore di tecnologie al progetto di Equinor, che prevede di partire da un impianto pilota iniziale da 1.000 tonnellate all’anno in Norvegia.
Ma intanto il piano inclinato delle operazioni militari rischia di portare a spiacevoli sorprese, nell’estremo Nord. “Per evitare frizioni e per arrivare a soluzioni importanti sul tema ambientale, c’è solo una cosa da fare: Cooperation, cooperation, cooperation”, riflette l’Ambasciatore Giuseppe Morabito, nel board di SIOI.
Posizione condivisa anche dal Ministro Carmine Robustelli, Inviato Speciale dell’Italia nell’Artico, che sottolinea come la chaimanship norvegese dell’Arctic Council possa essere anche un buon viatico perché la diplomazia, almeno su certi temi scottanti, possa tornare a essere la base di partenza di un nuovo inizio con Mosca. L’Artico tornerà a vivere la sua unicità anche in questo caso?
Leonardo Parigi
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