Nel contesto di Italia chiama Artico abbiamo avuto il piacere di conversare con Pietro Figuera, direttore di Osservatorio Russia e relatore di spicco del nostro festival.
Russia, Cina e “gli altri”
Lo scorso 30 novembre Osservatorio Artico ha promosso la terza edizione del festival “Italia chiama Artico”, l’appuntamento nazionale per fare il punto sulla regione polare, tra ambiente, scienza e geopolitica. Un punto chiave degli interventi del secondo panel, intitolato, appunto, “Russia, Cina e gli altri. Un Artico separato?” è stata l’enfasi posta sul fortissimo legame culturale e spirituale che unisce la Russia e la sua popolazione alla dimensione artica.
Il governo di Vladimir Putin ha costantemente cercato di attirare l’attenzione mediatica e popolare sull’Artico tramite azioni di pura propaganda. Tra gli esempi significativi, possiamo citare l’installazione di una bandiera russa in titanio sul fondale in corrispondenza del Polo Nord geografico, la costruzione di un grande consolato a Barentsburg e l’emersione simultanea di tre sottomarini nucleari attraverso il ghiaccio polare.
Come anche Marzio Mian aveva già evidenziato nel suo intervento, uno degli aspetti che contribuiscono a rafforzare il rapporto tra la Russia e l’Artico è la religione: di quest’estate è la notizia dell’innalzamento di una croce in legno a Piramida (città fantasma sulle Isole Svalbard di cui abbiamo già avuto modo di parlare) da parte del famoso Padre Iakov. Il “vescovo del ghiaccio”, all’insaputa del governo norvegese, ha benedetto Piramida proclamandola “terra sacra russa”, come i video e le immagini pubblicati da Arktikugol hanno ampiamente mostrato.
L’intervista a Pietro Figuera
Per quale motivo stiamo assistendo a un simile coinvolgimento mediatico della religione “sponsorizzato” dal governo nell’Artico? Per suscitare l’interesse della popolazione verso la regione non sono sufficienti i forti legami storici, culturali ed economici già esistenti?
“La religione ortodossa rientra a tutti gli effetti tra gli strumenti politici a disposizione del Cremlino, e in tale veste è stata dunque usata a più riprese e in un’ampia varietà di occasioni”, racconta Pietro Figuera, direttore di Osservatorio Russia, partner di Osservatorio Artico, che avevamo già intervistato la scorsa estate dopo il tentato golpe della Wagner.
“Il contesto artico non poteva mancare, sia perché costituisce uno dei teatri chiave dell’ascesa russa, in ottica squisitamente geopolitica, sia perché qui la fede ortodossa non ha veri rivali, se si escludono le tradizioni dello sciamanesimo e dell’animismo delle popolazioni indigene – spesso comunque collegate all’Ortodossia tramite singolari forme di sincretismo.
In altre regioni della Federazione, e specialmente nella fascia meridionale che va dal Caucaso all’Asia centrale, tale strategia è portata avanti da Mosca con maggiore cautela, in considerazione soprattutto del radicamento dell’Islam in aree culturalmente meno affini al russkij mir (“mondo russo”, N.d.R.). Nell’Artico, invece, l’affermazione identitaria della Chiesa ortodossa è complementare alle rivendicazioni del Cremlino sulla piattaforma continentale eurasiatica, in un tutt’uno ideologico che serve a dar concretezza alle aspirazioni di sovranità su una regione tanto vasta quanto importante per la geopolitica russa”.
Dall’Ucraina alla Northern Sea Route
La Russia è immensa, e gli avvenimenti che la coinvolgono, anche se molto lontani, possono avere gravi ripercussioni anche sull’Artico, terra in trasformazione ed estremamente sensibile tanto ai cambiamenti climatici quanto a quelli politici. Una strada che sembrava ben segnata è stata infatti bruscamente interrotta a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Quali sono le prospettive di sviluppo della Rotta Marittima Settentrionale in questo contesto internazionale delicato e instabile?
“Dobbiamo essere attenti a interpretare gli eventi. A volte degli apparenti cambi di rotta non sono altro che parentesi storiche, o viceversa certe deviazioni temporanee, o previste come tali, assumono il carattere di cambiamenti definitivi. È chiaro che in assenza di sfere di cristallo non possiamo inquadrare con certezza ogni segnale. La guerra d’Ucraina è stata letta da moltissimi come un turning point della storia russa, e io resto convinto che lo sia, ma è presto per definirne le conseguenze di lungo periodo sull’Artico russo.
Quelle di breve periodo sono chiare: le tendenze verso una chiusura internazionale della Rotta Marittima Settentrionale – peraltro parallele e inversamente proporzionali all’apertura del passaggio per via dello scioglimento dei ghiacci – si sono accentuate, così come la retorica di Mosca verso una maggiore sovranità sui propri spazi. Nel lungo periodo, tuttavia, è ancora tutto in discussione.
Non solo perché tale politica contrasta con la sete di investimenti (cinesi) basilari per lo sviluppo della Rotta stessa, nonché dei territori da essa toccati, ma anche e più banalmente perché non siamo ancora pronti a delineare le reali conseguenze della guerra d’Ucraina sui rapporti tra Russia e Occidente. In altre parole, può darsi che una tregua nel conflitto (probabilmente vicina) resti solo tale, e dunque non scalfisca la strada che Mosca ha intrapreso – i ponti tagliati con pressoché tutti gli ex partner occidentali, le porte cautamente aperte alla Cina.
Oppure potrebbe accadere che alcuni Paesi – penso tra gli altri alla Germania, rimasta priva di una vera strategia dopo il 2022 – tentino la strada di un parziale riavvicinamento a Mosca (ovviamente senza clamori), che sarebbe tacitamente ricambiato. Credo sia superfluo specificare quanto il futuro dell’Artico, e in particolare quello della Rotta Marittima Settentrionale, sia legato al clima delle relazioni tra la Russia e l’Occidente”.
Gli eventi bellici dell’Ucraina si riflettono anche sulle infrastrutture militari, ridefinendo gli investimenti anche nel contesto artico. Oppure no? La Russia, apparentemente indifferente, prosegue con massicce esercitazioni militari e sperimentazioni di nuove e avanzate tecnologie, nonostante sembri fare una gran fatica in Europa orientale. Quali sono i veri obiettivi di Putin dal punto di vista militare?
“Come osservavo anche a Genova, occorre distinguere tra gli investimenti di lungo periodo – che restano pressoché immutati, in una generale strategia di consolidamento delle difese russe nell’Artico – e le contingenze naturalmente dettate dalla guerra d’Ucraina. Le seconde hanno certamente deviato le attenzioni, certi flussi di denaro e persino alcune forze militari (comunque terrestri) nel teatro del Mar Nero, anche a spese dell’Artico.
Tuttavia, una lettura più attenta dei numeri può appunto rivelarci la temporaneità di certe misure. La militarizzazione del Mar Glaciale Artico e in special modo della Penisola di Kola continua praticamente senza sosta, e non vedrei le massicce esercitazioni nell’area come uno sfoggio puramente simbolico – è peraltro noto come la Russia abbia messo in campo contro Kiev solo una parte limitata delle sue risorse, e certamente non le sue armi più avanzate, per evitare tra le altre cose che finiscano nelle mani del nemico.
È vero che l’Ucraina per Putin ha un valore immenso, probabilmente in senso ideologico persino superiore a quello rivestito dalla regione artica nel suo complesso – ciò spiega ad esempio la sua scelta di barattare il certo per l’incerto, ovvero la neutralità storica di Finlandia e Svezia per la mai sicura conquista dell’Ucraina. Ma è anche vero che questa guerra finirà ragionevolmente prima del ritorno dei ghiacci nell’Artico.
Cosa significa? Gli scienziati non possono individuare una data d’arresto dell’attuale trend di riscaldamento globale – anche perché non è ancora chiaro quali misure verranno prese nei prossimi anni per contrastarlo, né quanto saranno efficaci – ma nella migliore delle ipotesi una mitigazione delle conseguenze non vedrà la luce prima della seconda metà del corrente secolo.
Mitigazione peraltro non significa annullamento, e alcuni effetti dello scioglimento potrebbero essere irreversibili. Tornando alla sfera geopolitica, è chiaro che un simile scenario pone alla Russia questioni di sicurezza (oltre che sociali e ambientali) potenzialmente ben più pericolose di un’avanzata della Nato di qualche centinaio di chilometri all’interno del territorio ucraino. Trovato un equilibrio in Europa – ed è solo questione di tempo, perché è interesse di tutti definirlo – si aprirà la grande questione artica. E Putin vorrà certamente arrivarvi preparato”.
Tommaso Bontempi
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