Largo solamente 83 chilometri, lo Stretto di Bering rappresenta un nodo strategico della Rotta Marittima Settentrionale e non solo.
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Il cuscinetto tra Russia e Stati Uniti
Quando osserviamo un planisfero, Stati Uniti e Russia ci sembrano due territori estremamente lontani uno dall’altro. La verità, ovviamente, è che non è così, e che anzi sono solamente circa 3,5 chilometri a separare i due Paesi. Questa è infatti la distanza che separa l’isola di Grande Diomede appartenente alla Federazione Russa (e amministrativamente parte del Circondario autonomo della Čukotka), dall’isola di Piccola Diomede, parte dello stato dell’Alaska e quindi appartenente agli Stati Uniti d’America.
Non è sempre stato così. I territori dell’Alaska erano infatti originariamente sotto il controllo dell’impero russo. Questo fino al 1867, quando il governo americano riuscì per pochi milioni di dollari (7 per l’esattezza) ad acquistare questi territori praticamente disabitati diventando di fatto uno Stato artico.
Nell’occasione della firma venne anche delineata quella che, con qualche modifica, è diventata la linea di separazione che divide i territori dei due Paesi, e che passa esattamente in mezzo alle isole Diomede. L’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ha portato a un’interruzione nel dialogo e nelle relazioni oltre confine tra Stati Uniti e Federazione Russa.
Questo sta già avendo ripercussioni negative nel settore della ricerca, mentre nel campo della sicurezza internazionale gli eventi stanno rafforzando la visione di Washington della necessità di investire di più nei territori dell’Alaska.
La geopolitica dello Stretto di Bering
Già a partire dal confronto bipolare lo Stretto di Bering ha assunto una funzione strategica, dettata in maniera diretta dall’estrema vicinanza di Unione Sovietica e Stati Uniti. Nel corso degli ultimi 15 anni circa, con il progressivo deterioramento delle relazioni tra Russia e Occidente, lo Stretto è tornato ad essere una regione a cui è stata data una maggiore attenzione a livello politico e strategico.
La Federazione Russa ha posto un’attenzione particolare allo sviluppo economico, infrastrutturale e politico di tutta la regione artica. Mosca si ritrova indubbiamente ad avere una posizione di grande rilievo nel sistema artico e questo si rispecchia anche sulle regioni dell’estremo oriente russo dove per diversi motivi l’attenzione del Cremlino non è mancata.
Come prima cosa, a livello militare la regione marittima intorno allo stretto di Bering è per ovvie ragioni geografiche un’area potenzialmente di diretto confronto tra Stati Uniti e Russia. Mosca, all’interno del suo piano di sviluppo dell’infrastruttura militare artica, ha infatti rimesso in funzione basi militari anche nei territori orientali, rafforzando la sua presenza nell’estremo oriente russo.
Inoltre, lo stretto di Bering ha una funzione vitale per quanto riguarda la Rotta Marittima Settentrionale (Northern Sea Route – NSR). Lo Stretto consente infatti il passaggio di navi di carattere commerciale e militare, permettendo di conseguenza anche la connessione tra la Flotta del Nord (con sede a Severomorsk, città chiusa vicino a Murmansk) e la Flotta del Pacifico (con sede a Vladivostok).
Il commercio che viene da Est
Le iniziative russe per lo sviluppo dell’infrastruttura artica sottolineano anche l’importanza che Mosca ha dato alla NS, ed evidenziano il ruolo che anche la Cina potrebbe avere nell’utilizzo di questa rotta. In questo contesto lo stretto di Bering si pone come un passaggio fondamentale e obbligato per percorrere la rotta e collegare l’Asia orientale all’Europa settentrionale senza dover passare dagli stretti di Malacca e Suez.
Dall’altro lato dello Stretto, un Paese che ha dato minore importanza allo sviluppo dell’infrastruttura artica: gli Stati Uniti. Di fatto Washington ha avuto un approccio verso le terre dell’Alaska, sia per la dimensione economico-commerciale (escludendo il settore energetico) che per quella militare, piuttosto pacato.
Allo stesso tempo però, l’invasione russa dell’Ucraina ha sottolineato l’approccio revisionista e aggressivo di Mosca, cosa che potrebbe cambiare l’approccio dell’amministrazione Biden verso l’Alaska. È infatti anche l’ultima strategia militare americana per l’Artico, chiamata “Regaining Arctic Dominance”, a sottolineare il problema delle crescenti tensioni all’interno di un Artico considerato geopoliticamente sempre più instabile, e la necessità quindi di investire di più nel settore della difesa nella regione.
A livello commerciale, nell’area del Mare di Bering risulta interessante il progetto per lo sviluppo del porto di Nome, situato a circa 180 chilometri dallo Stretto. Il nuovo impianto risulterà essere il porto americano più a Nord, capace di ospitare navi di grosse dimensioni, con la conseguenza di avere tutte le carte in regola per permettere anche l’approdo di mezzi militari in caso di necessità.
Collaborazione e guerra
Russia e Stati Uniti hanno la necessità di mantenere aperto il dialogo per le questioni che riguardano lo Stretto di Bering, il mare omonimo e quello di Čukči. Come sottolineato da Arctic Today, la guardia costiera statunitense e la controparte russa (che è sotto l’FSB) hanno lasciato aperti dei canali di comunicazione per poter rispondere, in caso fosse necessario, a emergenze di qualsivoglia tipologia nei territori marittimi di confine.
Viene però sottolineato come molto probabilmente gli incontri annuali tra le due guardie costiere, insieme ai pattugliamenti congiunti, verranno messi in pausa per un periodo indefinito. Così come successo per quanto riguarda la ricerca scientifica, e nello scambio di dati e informazioni tra scienziati, il conflitto sta portando anche a un forte rallentamento in vari campi.
Lo scambio di sapere è diventato più complesso e la possibilità di scienziati occidentali di condurre ricerca in territorio russo è ad oggi fuori dalle opzioni possibili. Vari progetti di ricerca cercano di analizzare fenomeni nella regione di confine intorno allo stretto di Bering. Questi hanno spesso richiesto la necessità di spostamenti in persona tra l’Alaska e la Russia nord-occidentale, viaggi di ricerca che sono stati messi in pausa e che rischiano di avere un grosso impatto sulla ricerca nell’Artico.
Temi importanti come lo studio del cambiamento climatico nella regione artica e i suoi marcati effetti su banchisa di ghiaccio (in forte riduzione) e permafrost, o ancora la ricerca sulla fauna artica, subiranno dei rallentamenti cui le conseguenze si rifletteranno all’interno di tutto il mondo scientifico e accademico.
Anche in questo caso saranno solamente i prossimi sviluppi nel conflitto, e di conseguenza nelle relazioni tra Russia e i Paesi occidentali, a poterci dare maggiori risposte per quanto riguarda il futuro degli scambi tra Mosca e Washington nella gestione dello Stretto di Bering.
Gianmaria Dall’Asta
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